Noah Gundersen - White NoiseDopo Ledges (febbraio 2014) e Carry The Ghost (agosto 2015), Noah Gundersen, cantautore nato a Seattle, torna con White Noise, nuovo album in uscita per Cooking Vinyl. Il disco si compone di una varietà di suoni e atmosfere, attraverso i quali Gundersen mantiene il proprio stile di songwriter.

Noah Gundersen traccia per traccia

La prima traccia è una piuttosto altisonante After All, che utilizza sonorità potenti per dipingere un affresco maestoso. The Sound prova a inseguire sensazioni più tenui all’inizio, ma è una canzone a rischio esplosioni, che puntualmente si verificano.

Ci si prende una pausa con Heavy Metals, che a dispetto del titolo è più intima e riflessiva delle due precedenti. Ma poi si torna a furoreggiare, con un pezzo robusto come Number One Hit of the Summer, che lascia molto spazio a chitarra e batteria. Vocalità e costruzione dei brani fanno venire alla mente spesso paralleli con band indie UK, come gli Elbow.

Si scende di nuovo di ritmo, ma non di intensità, con Cocaine Sex & Alcohol (from a basement in Los Angeles), che sceglie la modalità della ballad per pianoforte e archi. Ma il pezzo ha in serbo sorprese: dopo la prima parte “tradizionale”, emerge una lunga coda psichedelica, in uno stile che può evocare i Radiohead.

Bad Actors, per contrasto, è sommessa e minimal, mantenendo fino alla fine cioè che aveva promesso all’inizio. Fear & Loathing è forse la prima canzone “da songwriter tradizionale”, basata su chiare linee di voce e chitarra, con un po’ di Springsteen nelle vene.

New Religion flirta con la spiritualità sussurrando e offrendo atmosfere propense all’elevazione. Bad desire si mantiene calma, con un retrogusto soul. Il pianoforte torna con Wake me up I’m drowning, sommessa ma inquieta, con qualche link al Peter Gabriel più recente. Il crescendo drammatico del pezzo è notevole.

Dry Year prosegue il discorso, questa volta cercando di contenere il proprio dolore. Si chiude con un altro pezzo intimo e “struggling”, una Send the Rain (to Everyone) che fa tornare in mente l’ondata più recente (diciamo dal 2010 in qui) dei songwriter anglosassoni, in perfetta controtendenza con l’inizio dell’album, rumoroso e a tutto volume. Anche se poi l’uscita dal brano torna altisonante, e il cerchio si chiude.

Disco ottimo e molto vibrante, quello di Noah Gundersen, che dispone a ventaglio i propri talenti e le proprie sonorità.

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