Il corpo nel sogno è il nuovo disco di OTEME, l’Osservatorio delle Terre Emerse, quasi un divertissement a metà strada tra musica da camera, canzone d’autore, Rock-In-Opposition, musica elettroacustica. Abbiamo rivolto qualche domanda a Stefano Giannotti, deus ex machina della formazione.
Da quali presupposti parte “Il corpo nel sogno” e quali sono le differenze rispetto ai tuoi lavori precedenti?
Il corpo nel sogno è il terzo album con l’ensemble OTEME – Osservatorio delle Terre Emerse. Nasce come i precedenti lavori dall’esigenza di esplorare la forma canzone nelle sue varie coniugazioni ed espanderla fino a diventare qualcosa di altro; l’idea è quella di creare un’opera totale che si muova fra musica da camera, ricerca elettronica, poesia contemporanea, teatro sperimentale e anche video-arte. Il risultato non è lontano da ciò che operò Monteverdi nell’Orfeo, la sperimentazione di una nuova forma che all’epoca era difficile da collocare in un ambito preciso.
Il corpo nel sogno è nato semplicemente da un forte mal di schiena; disteso sul letto ho scritto il testo della canzone, in cui osservo il mio corpo diventare foresta pietrificata. Da lì è partito un viaggio fra immagini, metafore, suoni che dal 2015 è terminato un mese fa.
E’ comunque la prosecuzione di un discorso iniziato nei due lavori precedenti, Il giardino disincantato (2013) e L’agguato, l’abbandono, il mutamento del 2015; qui il risultato è a mio avviso più compatto e il suono è molto rappresentativo del gruppo, a differenza del precedente, dove in realtà i gruppi erano due, registrati in due epoche diverse.
So che le lavorazioni hanno preso quasi due anni. Puoi raccontare com’è andata e quali sono state le difficoltà maggiori?
Non è stato più difficile dei primi due, anzi, è stato molto piacevole, poiché la band è coesa e quando ci vediamo stiamo bene assieme. Due anni per quanto mi riguarda è il minimo di tempo per realizzare un lavoro di questo tipo. Non basta comporre i brani, ci vuole anche una lenta maturazione che renda il tutto ben collegato, come un’opera unica. Molto difficile è stata la realizzazione di Orfeo e Moira, sia della parte musicale, sia del video, soprattutto del video.
Ho scontornato centinaia di fotogrammi da vecchi film sul circo con Photoshop, e a un certo punto ho avuto un rigetto (palpitazioni, problemi di respirazione, eccetera); ma alla fine aggiustando il tiro e i tempi, il lavoro è terminato… ed è cominciata l’altra Odissea, la parte grafica. Il digipack l’ha realizzato Tommaso Tregnaghi, un ottimo grafico e artista, io ho creato invece le otto tavole del libretto, ancora scontornando decine di foto e creando una miriade di fotomontaggi. La musica e i testi sono stati la parte meno problematica.
Come hai allestito la “squadra”, composta da ben otto musicisti?
OTEME nasce nel 2010, ma già nel 2001-2002 esisteva un nucleo di base formato da Emanuela Lari, Riccardo Ienna e io. Ma almeno sei musicisti su otto sono gli stessi del 2010. Alcuni dell’organico iniziale se ne sono andati, è entrato Marco Fagioli alla tuba, che già collaborava con me negli anni Novanta. Riccardo non faceva parte dell’ensemble del 2010, ma è rientrato successivamente. Nel cd partecipano come vocalisti anche Gabriele Stefani ed Edgar Gomez, due miei studenti di composizione alla Scuola di Musica Sinfonia di Lucca, e il grande percussionista Antonio Caggiano al vibrafono, come ospite d’onore.
Come nasce “Rubidor #1”?
Rubidor#1 nasce da RUBIDORI MANSHAFT, nome d’arte di Roberta Dori Puddu, regista pugliese che lavora fra Milano e la Svizzera con la compagnia teatrale Officine Orsi. Ho semplicemente saccheggiato il suo profilo facebook creando un collage di sue frasi molto divertenti, e l’ho cantato su una musica chill-out che avevo composto per una libreria di production-music.
Era un brano che mi piaceva particolarmente e che alla fine ho tolto dalla libreria. Per caso sul pezzo originale (che è presente nel cd con il titolo di Rubidor #2) era rimasta aperta una traccia di batteria di Riccardo, appartenente a un altro brano, uno scarto del cd precedente; la sovrapposizione casuale mi piaciuta tantissimo, e sono andato avanti per quella strada, ovvero sovrapporre parti musicali ognuna con un metronomo diverso. Il risultato è una specie di Music Circus alla Cage come se fosse fatto da Zappa.
Citi fra le tue “affinità” Zappa, Sylvian, Battisti periodo Panella. Quali sono gli altri tuoi punti di riferimento?
Alvin Curran, Steve Reich, John Cage, Alvin Lucier, Tuxedomoon, Bach, Stravinski, Ravel, Penguin Cafe Orchestra, Eno, Messiaen, il Krautrock, De André, Robert Wyatt ed il Canterbury in genere, King Crimson, molta radio-arte (da diversi anni produco radiodrammi sperimentali per le emittenti radiofoniche di stato tedesche)…
Kubrick, Wenders, Herzog, Tarkovski…
Sicuramente dimentico altri nomi fondamentali…
OTEME traccia per traccia
Rubidor #1 parte con tutti i segnali del brano ambient. Ma si tratta di un piccolo inganno, perché il brano segue poi svariate altre direzioni, con un cantato/recitato talvolta autorale, talvolta colloquiale, e con inserti musicali ora virati verso il jazz ora vero il progressive. La canzone è scritta sulle riflessioni su fb dell’artista e drammaturga Rubidori Manshaft
Si prosegue con Il corpo nel sogno, aperto da suoni morbidi, con il cantato che si adegua e procede su temi soffici. Neglibor mette in rilievo un dialogo curioso e apparentemente causale tra due voci.
Blu marrone ha una partenza calma e orchestrale, con i fiati che si ergono a protagonisti di un pezzo strumentale vivace e con qualcosa di cinematografico.
Il cantato, un cantato come spesso nel disco surreale, torna in Sono invisibile, lungo brano con qualche citazione dal Bolero di Ravel, per un climax dissonante.
Strippale torna allo strumentale con un procedimento morbido e un po’ vintage. Si passa poi a Un paradiso con il mal di testa, che mantiene un certo umore sommesso.
La trilogia Nascita dei fiori si apre con Il cimitero delle fate, che ospita suoni isolati di campane, prima che le cose si complichino fino a una tempesta noise.
Si prosegue con la seconda parte, Di passaggio, aperta da un recitato incomprensibile e poi allietata da melodie dolci ma inquiete. Tornano le campane in Prato fiorito, che chiude la triade, ma con l’inserimento di fiati e batteria, nonché della chitarra che dardeggia con modi kingcrimsoniani nella seconda parte.
Un battito apre Orfeo e Moira: torna il cantato e racconta storie di terra e di miti rivisitati, mentre melodie più aeree si delineano sullo sfondo. Il cerchio si chiude con Rubidor #2, con le linee del basso disegnate in modo sinuoso, procedendo poi a un finale molto più allargato e orchestrale.
Molta originalità nel disco di OTEME: la scelta è sempre verso idee alternative e non comuni, per risultati davvero sorprendenti.
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