Una vita troppo onesta è il nuovo ep di Pagano, cantautore italiano recentemente trasferito in Belgio, ma con molta canzone d’autore nelle vene. Sei canzoni che sembrano nascere nella parte più scura di un jazz club, a fine serata, dopo qualche bicchiere e la voglia di cantare le piccole amarezze e le piccole gioie che la vita riserva.
Anticipato dalla title track uscita lo scorso 5 novembre, il nuovo lavoro vede Pagano curare personalmente musica e testi di ogni brano, mentre per gli arrangiamenti e la produzione si è avvalso dell’aiuto del produttore Giacomo Anichini dello studio “FCT Recording” di Firenze.
Il filo conduttore dell’ep è l’introspezione, l’analisi di sé e l’accettazione delle proprie imperfezioni. Questa accettazione di sé è rappresentata graficamente nella copertina del disco, disegnata dall’illustratrice Valentina Tamburrano, da un cerchio “non chiuso” e quindi imperfetto e fuori forma.
Pagano traccia per traccia
Un’introduzione piuttosto curiosa, quella di Una vita troppo onesta, title track e anche primo singolo estratto dall’ep: il tono è mediamente ironico, i ritmi variabili, le considerazioni a monte quelle che riguardano esistenze troppo incentrate su uno schema che spesso non è quello più desiderabile o augurabile.
Con un background che sa di jazz, di pianoforte, fumo e notte, Mi nascondo espone le fragilità del cantautore ma le corrobora con cori soul, esponendo una palette di colori, tutti scuri, ma con sfumature decisamente affascinanti. La scrittura di Pagano si approfondisce e si fa anche piuttosto immaginativa. Chitarra e organo si occupano di un finale molto spiritual.
C’è un po’ del Tom Waits dei primi album in Forte (e anche qualche eco di Brunori nel timbro del cantato), per un altro brano malinconico ma questa volta cantato senza alzare troppo la voce. Anche qui intervengono i cori a cambiare un po’ l’atmosfera e a svelare un possibile finale alternativo.
Movimenti più danzati quelli che contraddistinguono lo Spazzolino Blues, animato dai fiati e dalla paura dei sentimenti “veri”, in nome di uno spazzolino simbolo di convivenza e di ulteriori disastri.
Parte lenta e procede a ondate, con la fisarmonica e quel tanto di vecchia Europa che avvolge tutto, Un Mondo Casuale, che lavora su ipotesi, citando Massimo Troisi e ballando, stavolta in un grande lento orchestrale, con la tromba che aggiunge emozioni e un pizzico di ottimismo: “Noi due ce ne andremo/Lontano da qui/Tanto poi, si vedrà/La felicità ci capiterà“.
Una serie di tentativi contraddistinguono Ulivi dentro i Bonsai, che chiude l’ep con un po’ di dolce e un po’ di amaro, accuratamente bilanciato. La prospettiva di fuga (verso le origini, peraltro) gradualmente si fa quasi psichedelica e abbastanza energica.
Pagano mette sul piatto una grande sensibilità e una facilità di scrittura non esattamente comuni: nei sei brani dell’ep il suo background musicale, particolarmente notevole, si sposa benissimo con i temi di canzoni pensose ma mai propense a prendersi troppo sul serio.
La scuola di Paolo Conte, di Capossela, di Brunori e di altri cantautori e cantori delle difficoltà della vita, da prendere sempre con un pizzico di ironia, risuonano negli echi di canzoni a volte brumose, adatte a questa stagione grigia, per ricordarci che in fondo, anche se non sembra, arriverà la primavera.
Genere musicale: cantautore
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