Paul Armfield, “Domestic”: la recensione
Domestic è il settimo album in studio del britannico Paul Armfield, cantautori indipendente di culto per tutti gli appassionati del folk in grande stile. L’album è una collezione di brani che ruotano attorno al concetto di “casa”, che può essere inteso come le quattro mura in cui vivi o esteso idealmente al luogo a cui senti di appartenere.
Paul spiega: “Ho scritto queste canzoni in un lungo inverno, nella solitudine casalinga, isolato e al sicuro dalla pazzia del mondo esterno, tra Brexit e crisi dei migranti. Date le circostanze è stato sorprendente scoprire un senso di pace e familiarità, per questo ho dato il titolo Domestic“.
Paul Armfield traccia per traccia
Si parte dalle note profonde e multicolori di January, brano ricco di passione crescente che apre il disco con qualche tentazione quasi psichedelica.
Molto più “domestica” I’m Not Here, scelta anche come singolo di apertura, con passo regolare e soltanto qualche schizzo di fantasia su un quadro molto stabile.
La voce profonda di Armfield si presta a tutta una serie di coniugazioni in You, brano vivace ma anche ricco di contrasti.
Più contenuti i palpiti di Home, che si muove con una certa sensualità di fondo. Atmosfere ovattate anche quelle di Nowhere, che si disegna un po’ per volta, con molta malinconia.
La breve Fledging si arricchisce di suoni e regala qualche altra sensazione gentile. Flagbearers procede con cautela, parlando di gente che porta la bandiera, tra suoni di slide e tastiere morbide.
Una certa vivacità si recupera grazie a Wrong, disinvolta e quasi sbarazzina. Si torna ad atmosfere più concentrate con Heartache, che però ha una svolta quasi tex-mex, sicuramente misteriosa.
Si chiude in solitudine con Alone, altro pezzo sommesso e moderato, capace di regalare più increspature che onde.
Artista di spessore, Paul Armfield regala un nuovo disco pieno di canzoni ben scritte ed eseguite anche meglio, che lasciano un senso di completezza al loro passaggio.
