Con quella faccia un po’ così che ha in copertina, florestano, all’anagrafe Leonardo Salvaro, è un produttore e polistrumentista italiano nato a Verona. Dalla copertina uno si aspetterebbe un lp confidenziale, un disco alla Fred Buscaglione o alla Vicinio Capossela, e invece.
Invece a quanto pare le sue creazioni nascono sì dal pianoforte, ma si riversano in un tessuto elettronico (ma non solo e non sempre) talmente composito e creativo da aver attirato l’attenzione della stampa internazionale. florestano è titolare della Kowloon records (dal nome di un quartiere di Hong Kong in cui ha vissuto), eclettica label da lui fondata a Londra con lo scopo di produrre artisti da tutto il mondo e creare continue possibilità di contaminazione.
Il disco si chiama noh: il titolo, che fa riferimento all’antica forma di teatro giapponese in cui lo spettatore può dare un’interpretazione personale di ciò che sente e vede, è una forma artistica elegante, ma allo stesso tempo ambigua: un po’ come le sensazioni che florestano intende rievocare attraverso la sua nuova fatica discografica.
Florestano traccia per traccia
Si parte con Broken MP3, che presenta una faccia elettronica piuttosto articolata e con svariati picchi e avallamenti. Il pezzo si fa più intenso con il trascorrere delle battute, con sonorità sempre più aspre e voluminose.
A seguire le due parti di 7 of Diamonds, escursione slabbrata su sonorità piuttosto potenti. La seconda parte del brano prende forme più melodiche (anche se l’aggettivo va usato qui con le giuste cautele). Il discorso si convoglia intorno a movimenti ripetuti, capaci di includere e stimolare piccole imperfezioni e deviazioni dalla strada maestra.
Rumoroso e importante l’incipit di Diletantes, brano che su un beat ripetuto e rotondo accenna a sonorità dark wave, mentre nella seconda parte si scatena una guerra di phaser e di effetti su voci fortemente alterate.
Koola presenta un’ambientazione leggermente più serena, anche se i ritmi sottotraccia restano piuttosto convulsi, tanto da prendere il sopravvento in modo completo nella seconda parte del brano.
Un discorso più complesso e stratificato è quello che caratterizza Red Stool, in cui un fronte melodico, con tracce di organo, si scontra con una ritmica molto insistente e anch’essa articolata e rumorosa.
Molto più minimal Ryoma, che si costruisce su beat contrapposti e poco altro, almeno all’inizio. Altri elementi intervengono dopo metà brano a oscurare alcune parti del cielo. Tunedless si fa più insinuante e meno rumorosa, con una certa attenzione al groove e voci infantili distorte.
Ultima traccia è Grizzled, che conferma ciò che si diceva all’inizio sul pianoforte: è su una traccia costruita sui tasti bianchi e neri e ricca di istinti jazz che si erige il brano, arrichito poi da elettronica e voci filtrate.
C’è molta vitalità nel disco di florestano, una grande attenzione ai ritmi e agli equilibri, poca voglia di sussurrare e molta creatività da esprimere, a volte persino da espellere, tanta è la necessità di certi suoni in emersione. Il disco si colloca al centro delle tendenze odierne, dal prossimo ci si attende che le anticipi di netto.
Se ti piace florestano assaggia anche: Nrec, “Spaghettitronica”