Recensione: Konakon, “Ars Magna”
Dal fronte sperimentale arriva Konakon, nome d’arte di Matteo Berghenti, che ha una consistente esperienza alle spalle anche su fronti più “convenzionali”: per esempio è stato chitarra e voce nella noise-math band Brother James e ha condiviso il palco con gente come Ulan Bator, Giardini di Mirò, Onussen, Klaverna, Three Second Kiss, Julie’s Haircut, Emidio Clementi, Cut, Santo Niente, Drekka, Father Murphy, Weltraum, Lourdes Rebels.
Oggi Matteo gestisce la netlabel Second Family Records ed è parte di altri progetti musicali (Lady Vallens, Furius Placidus, La Blancheur Des Cygnes). In Ars Magna si spinge però in situazioni che lambiscono la drone music e talvolta l’ambient: come spiegano le note, i brani del disco sono stati realizzati utilizzando principalmente suoni pseudocasuali generati da dispositivi digitali opportunamente realizzati con Max/MSP, field recordings e synth analogici. Il disco è stato pubblicato su Bandcamp in versione “ridotta”, ma c’è anche l’audiocassetta a tiratura limitata pubblicata da Vacancy Recs. e contiene altro materiale, tra cui una ghost track.
Konakon traccia per traccia
Il “brano” (diciamo così) introduttivo è Ars magna, che è “magna” davvero: si tratta di una lunghissima suite da 39 minuti e 30 secondi. L’introduzione mette l’ascoltatore subito di fronte a un discorso in cui suoni e rumori interagiscono in modo piuttosto dinamico. Si indovinano ritmi nascosti che crescono. Si insinuano tentativi melodici e armonici qui e là, prima che un rombo simile al motore di un aereo si impadronisca piano piano della scena. L’ultima parte della sinfonia noise si muove su percorsi più terreni, come a mimare i movimenti del fuoco, ma con forti correnti presenti in sottofondo.
Si passa quindi al FillerSideA, vibrazione monotona e inarticolata prolungata su un tempo di 5 minuti, che lascia poi spazio a Piano Loop, che insieme alle note di pianoforte promesse dal titolo inserisce effetti e ritorni, scricchiolii e feedback, a “sporcare” il tracciato complessivo. Più “ritmico” l’andamento di Binaural, con un passaggio percussivo ripetuto fino a divenire ossessionante.
E’ un pulsare, vagamente pinkfloydiano, l’elemento che caratterizza invece Strings. E “the strings”? Ci sono anche quelli, in crescita fin dalla prima battuta, ma anche in lite fra loro, preferendo il brusio piuttosto che un insieme ordinato. Il finale vede l’ingresso di un ritmo piuttosto calmo, mentre il livello di noise complessivo si fa calante. Il FillerSideB include di nuovo un rumore bruciante, più o meno identico dall’inizio alla fine.
L’operazione firmata da Konakon è complessa e rilevante, la sperimentazione portata avanti con giudizio e coerenza, forse dall’avanguardia in genere ci si può aspettare ormai qualche scatto in avanti in più, ma in attesa della prossima idea dirompente, questo lavoro risulta soddisfacente.