Luca di Maio 2Il disco di debutto di Luca Di Maio è intitolato Letiana, e vede il cantautore napoletano presentarsi per la prima volta con il suo vero nome dopo l’esperienza con la band Insula Dulcamara. Il lavoro è stato prodotto da Marco Parente. Nel disco sono presenti anche Sergio Salvi (My Broken Toy/Cosmosoul), Francesco Bordo (Nasov), Federico “JolkiPalki” Camici (Honeybird & the Birdies, Kento & the Voodoo Brothers), Paola Mirabella (Honeybird & the Birdies, Vincent Butter).

Tuttavia “Letiana” vede anche la partecipazione di ospiti illustri, “miei amici virtuali che hanno vissuto a lungo tempo nel mio stereo e che sono stati così gentili da prestare la loro arte al mio disco”: “Asso” Stefana (Vinicio Capossela, PJ Harvey, Guano Padano, che ha curato anche il mix e le riprese), Alessandro Fiori (Mariposa) e Vincenzo Vasi (Vinicio Capossela, Ooopopoiooo, Mondo Cane).

Luca di Maio traccia per traccia

Un battito moderato, poi la chitarra: Migrare inizia così, in un’atmosfera che si annuncia acustica (ma è soltanto un’impressione iniziale e parziale) che si parla di viaggi, non fatti per piacere, partendo da quasi tutte le latitudini, in una canzone senza dramma.
Passo anche più cadenzato quello di Sabbia, che si rivela con il procedere una canzone curiosa, dai contenuti quasi esoterici e dalla struttura particolare.
A seguire La Normalità, già presentata come video e singolo, dove “la normalità” del titolo sarebbe quella che secondo alcuni uomini coinvolgerebbe la violenza sulle donne. Il pezzo accoglie tradizioni melodiche con qualche piccola svolta sul percorso.

Anche Impalcature porta con sé storie di violenza, benché il discorso sonoro sia piuttosto morbido e jazzato, più nell’atteggiamento che nella sostanza. A seguire La Bestia dalle Gote rosse, altro pezzo curioso con qualche stop and go, qualche accelerazione inaspettata, qualche sorpresa acustica. Kildevil parte tra risonanze morbide e vagamente orientali, ma anche con tamburi profondi. Possono tornare alla mente certi lavori degli Avion Travel, non solo per questo pezzo, perché Di Maio è in grado di far crescere la parte emotiva delle proprie canzoni anche in modo teatrale, ma senza mai rinunciare allo stile.

Si prosegue con Letiana, la title track, che anche in questo caso lascia la ritmica a occuparsi delle prime battute, inserendo poi il synth, e più avanti cori africani del tutto imprevisti. Un altro pezzo senza rete, nel quale per motivi diversi possono venire alla mente Dalla, Iosonouncane o Battisti.

E se fin qui si era rimasti troppo su binari di serietà, ecco Canzona per il mio piccolo cuoro, che, titolo a parte, sembra più vicina a un Neil Young epoca Four strong Winds, visto anche l’intervento della voce femminile. Più avanti del percorso ritorna anche qualche sensazione tipo Anima Latina. Si chiude con Buonanotte Irene, acustica e appassionata, senza perdere la calma.

Gioca la carta della sorpresa “morbida” Luca Di Maio, legato alla tradizione senza essere incatenato e capace di piccole sorprese autentiche. Un album che vale la pena di ascoltare anche soltanto per la cura del dettaglio che si percepisce.

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One thought on “Recensione: Luca di Maio, “Letiana””
  1. […] “Gioca la carta della sorpresa “morbida” Luca Di Maio, legato alla tradizione senza essere incatenato e capace di piccole sorprese autentiche. Un album che vale la pena di ascoltare anche soltanto per la cura del dettaglio che si percepisce” TRAKS, recensione di Fabio Alcini dell’aprile 2016 (link) […]

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