Recensione: Lush Rimbaud, “L/R”
Si chiama L/R il terzo lp dei Lush Rimbaud, a cinque anni di distanza dall’ultimo The sound of the vanishing era, anche se in mezzo c’è stato lo split con gli olandesi zZz (2013). L’album, co-prodotto da Bloody Sound Fucktory e fromSCRATCH Records, segna un passaggio verso sonorità più dark ed elettroniche.
Lush Rimbaud traccia per traccia
Il disco si apre con la determinazione di Marmite, che presenta subito la faccia elettronica e imbevuta di new wave. Che però le antiche pulsioni da discoteca/rave non siano del tutto sparite sotto manifesti di antichi concerti dei Joy Division lo si intuisce da Acid Skyline, che aumenta ritmi e pulsioni.
Never Regret conserva l’oscurità, con qualche scintillio nel buio, ma il ritmo è da marcia (o marcetta) sulle prime; il brano vede crescere volumi e suoni nella seconda parte,
Più lenti e sensuali i movimenti di G-Spot, con qualche fremito regalato sia dal drumming, sia dai contrasti alto/basso delle sonorità. L’atmosfera si appesantisce e le sensazioni si approfondiscono in Silent Room: chiavistelli segreti e movimenti subacquei caratterizzano l’introduzione, finché non si capisce che non si tratta solo dell’intro, ma di tutto il pezzo, per certi versi con attitudini post rock.
Che cos’è un Super-Indian? Boh, forse meglio non saperlo: fatto sta che il pezzo è tra i più claustrofobici dell’album, almeno sulle prime. Nella seconda parte il pezzo infatti emerge dalle proprie oscurità per scoprire una coralità e anche una luminosità del tutto sorprendente.
Con un giro che ha un certo retrogusto di 007 e un drumming molto intenso (anche se l’influenza dichiarata dalla band è in questo caso quella dei Primal Scream), arriva poi Not The Monkey, segnata da una certa inquietudine metallica. The Valley spazza le residue incertezze con un groove e un ritmo molto consistenti fin dalle prime battute, e tutti i riferimenti della dark wave al proprio posto.
Archi oscuri proiettano all’interno di Dark Side Call, che chiude il lavoro: il pezzo è una lenta marcia verso l’uscita, con qualche effetto da film di fantascienza, ma di quelli che non lasciano grandi speranze di un lieto fine.
Posto che non siamo di fronte a un’inversione a U, i cambiamenti nel suono e nell’atteggiamento dei Lush Rimbaud sono da accogliere come un giusto tentativo di non rimanere sempre uguali a se stessi. Il risultato forse poteva essere anche più “spinto” in qualche direzione, ma il disco è godibile in ogni traccia e di ottimo livello e fattura.