Recensione: Med in Itali, “Si scrive Med in Itali”


“Questo nuovo lavoro è stato un banco di prova importante che in parte crediamo di avere già superato – racconta Niccolò Maffei, voce e chitarra della band -. Mentre per “Coltivare piante grasse” infatti si trattava di un lavoro lungo cinque anni, con brani scritti anche prima della formazione dei Med, con “Si scrive Med In Itali” abbiamo fatto tutto ex-novo in meno di due, e questo è già un successo!
Penso che sia un disco più musicale rispetto al precedente, allo stesso tempo non volevamo perdere il tratto distintivo della nostra musica, che credo risieda per buona parte nel modo in cui arrangiamo i brani e nei frequenti cambi di tempo. Abbiamo cercato quindi di coniugare questi due aspetti, per rendere questo nuovo album un lavoro che fosse leggibile e ascoltabile a diversi livelli. Per quanto riguarda i testi penso di essermi esposto un po’ di più: ho affrontato alcuni temi caldi e mi sono tolto qualche sassolino dalle scarpe.”
Med in Itali traccia per traccia
La prima traccia è il finto africano di Cumal’è, che si diffonde su cori e danze, instillando poi sonorità caraibiche per fare da sfondo a un testo dedicato alla pigrizia televisiva e alle uscite del sabato sera finto etniche. Si prosegue con Med in Itali, che se la prende con alcuni acclarati vizi italici (niente di inedito, sia chiaro).
Con riferimenti vaghi a Loretta Goggi, arriva poi Maledetta primavera, allegra e fischiettata, un po’ più “libera” a livello di testi. Eroi si immerge in un’atmosfera molto più notturna, in un pezzo “serio” e intimo, che mostra come il lato lunare della band sia allo stesso livello (se non superiore) rispetto a quello solare.
Lei non esce dall’aura di intimità, ma si concede qualche piccolo strappo, in un ritratto femminile piuttosto ben delineato. L’atmosfera è piuttosto jazz club, con qualche stilla reggae nel ritmo. Si torna ad atteggiamenti ridanciani e a un po’ di fanfara con Difetto congenito, pezzo leggero e, anche qui, con qualche occhiolino schiacciato in direzione del jazz.
Un po’ di bossa invece nell’intro di Tranquillità, che si lascia andare morbidamente tra i ritmi, con una sorta di rabbia trattenuta che percorre il pezzo. Sola torna a mostrare il lato morbido delle composizioni dei Med in Itali, con una storia delicata che sembra fare riferimento a quello che noi dei media chiamiamo, con scarso sforzo di fantasia, “il dramma dell’immigrazione”, ma con sfumature molto tenere.
Più insinuante La Nonna, tra memorie di canzoni antiche e immagini piuttosto vivide. Giochi di parole e di bassi all’interno di Comico, alla caccia di vizi pubblici e privati, con ausilio di flauto e altri fiati. Un po’ di De Gregori e molto spirito ribelle in Statue di Vetro, veloce e intensa, con le magnifiche prospettive lavorative italiane al centro di un discorso evidentemente adirato. Molto più tranquilla la chiusa di Ninna Nanna.
Molto convincenti dal punto di vista musicale, i Med in Itali offrono il meglio di sé quando le briglie si sciolgono un po’ ed emergono tutti i lati della scrittura del gruppo, sia introspettivi, sia ironici. Catalogarli (e farsi catalogare) sotto la voce “fustigatori dei pubblici costumi” significa limitarne ispirazione e risultati, che al contrario, in questo lp in particolare, si dimostrano di ottimo livello.