Dopo un’attività intensa in numerose band, Matteo Tundo ha deciso di fare un passo avanti e di diventare bandleader con Zero Brane: registrato nel 2014 e uscito a ottobre 2015 per l’etichetta berlinese Aut Records, il lavoro segue l’autoproduzione Acatalepsy (Music Republic Production) del 2014. Otto tracce di avant-jazz (fatta eccezione per un pezzo di Bill Evans, Twelve Tone Tune Two), composte in 3 anni di lavoro, guardando anche alla M-Theory di Stephen Hawking e ad alcuni principi della fisica contemporanea: con “Zero Brane”, infatti, si indica una “realtà senza dimensioni”. Abbiamo intervistato Matteo Tundo.
“Zero Brane” nasce (anche) da concetti di fisica: puoi spiegare l’ispirazione che ti ha spinto?
Da qualche anno mi sono appassionato alla fisica, in particolare quella moderna, come la meccanica quantistica. Zero Brane è un concetto che deriva dalla Teoria delle Stringhe e la sua evoluzione M-Theory, sviluppata da Edward Witten. Trovo questa teoria incredibilmente affascinante ed elegante. Zero Brane simboleggia una realtà priva di dimensioni, dove tutte le nostre conoscenze teoriche vengono annullate.
Innanzitutto mi interessava avere una formazione non scontata, per ottenere un suono originale e particolare; così ho subito deciso di non scrivere per contrabbasso o basso, in modo tale da evitare possibili suddivisioni tra ritmica e solisti. Questa scelta è forse dovuta anche agli ascolti che facevo in quel periodo, in particolare dei gruppi di Tim Berne.
I musicisti mi sono stati presentati da Simone Graziano, che è stato il mio maestro per un periodo e mi ha introdotto all’ascolto di questo tipo di jazz. Abbiamo provato moltissimo prima di registrare, per riuscire a ottenere un suono di gruppo interessante. In più mi sono trovato davvero molto bene con tutti loro; il rapporto umano è una caratteristica importante, che quando si incide un disco fa la differenza.
Perché hai scelto di proporre una vostra versione di “Twelve Tone Tune Two” di Bill Evans?
Perché mi interessa molto il rapporto della musica jazz con le avanguardie e con la musica contemporanea. I jazzisti sono sempre stati interessati a nuovi tipi di linguaggi e spesso molti se ne dimenticano. Charlie Parker desiderava moltissimo incontrare Edgard Varése ad esempio. Twelve Tone Tune Two è un brano che utilizza caratteristiche dodecafoniche, infatti le linee melodiche del tema sono delle serie. La dodecafonia viene qui utilizzata da Bill Evans non in modo integrale ovviamente, ma comunque testimonia un suo interesse verso linguaggi di tipo diverso da quello tipicamente jazz. Ho quindi utilizzato il materiale tematico scritto da Bill Evans come punto di partenza per un’improvvisazione, destrutturalizzando il suo brano.