
Miss Mog traccia per traccia
L’album parte in modo piuttosto tranquillo con Un pomeriggio, ritratto non troppo placido nei testi, appoggiato su un battito continuo e su suoni di synth. Venety Fair, già presentata come singolo, muove ritmi moderati attorno alla routine ossessiva del Nordest iperproduttivo (probabilmente il ritratto sarebbe stato più realistico in tempi di pre-crisi, ma comunque).
Si prosegue con Pangea, che conferma l’andamento mai troppo accelerato, dopo un’introduzione sintetica. Alcune dinamiche influenzate da sensazioni vintage si presentano in Faust, che a un buon giro di basso accoppia un falsetto molto 70s.
Federer, la title track, diffonde nebbie sintetiche e piccoli suoni elettronici, anche questi a carattere vintage, attorno a una struttura in media crescita. Panchine divelte utilizza qualche spruzzata d’ironia per raccontare lo spirito ribelle minimale che porta come gesto sommo di rabbia, appunto, a svellere qualche pezzo di panchina al parco.
Si procede con Complesso B, declamativa e incentrata intorno a un argomento quanto mai attuale, cioè l’alimentazione e il salutismo forzato di questi ultimi anni. L’alibi introduce una nota di inquietudine che negli episodi precedenti non era mai apparsa: il testo sembra ispirato alla Lullaby dei Cure, con note di goth che si palesano soprattutto nel finale.
Più sereni i passi di Meteoritmo, che lascia però presto spazio alla molto meno serena Razorology, tra tematiche sadomaso e sonorità insinuanti. Si chiude con Sulle punte, che prosegue nella descrizione di situazioni minacciose, per quello che si dimostra un finale piuttosto isterico per un disco iniziato in tutt’altri modi.
Gli assetti dei brani dei Miss Mog spesso si richiamano uno con l’altro, anche per “colpa” di ritmi piuttosto simili. Detto questo, nei panorami sintetici della band trovano posto canzoni di buona fattura, spesso piacevoli e con testi che riescono quasi sempre a centrare il bersaglio.