Uscirà il 31 ottobre il disco omonimo degli Smuggler Brothers: nati a Palermo nella seconda metà del 2011 grazie a musicisti legati a diverse esperienze nel panorama underground palermitano (Furious Georgie, Urania, Haemophagus e molti altri).
Pur provenendo da generi musicali molto diversi come punk, psych/folk, hardcore/metal, ska, surf o jazz, tutti i membri degli Smuggler Brothers hanno in comune un autentico amore per l’old school funk, il soul-jazz di scuola Byrdiana, la cosiddetta spy music, il rock progressivo nonché per la musica dei Maestri della colonna sonora all’italiana (Umiliani, Micalizzi, Piccioni, Morricone, fratelli De Angelis, Cipriani, Frizzi e così via). La materia di base utilizzata è comparabile a quella dei Calibro 35, ma con un sentimento funk più dilatato e con soluzioni del tutto personali.
La band è formata da Roberto Orlando, chitarra; Giorgio Trombino, chitarra, flauto traverso; Vincenzo Nuzzo, basso; Giovanni Di Martino, tastiere; Claudio Terzo, sax tenore; Valerio Quartararo, tromba; Giorgio Piparo, batteria. Il disco è stato registrato, mixato e masterizzato presso Zeit Studio, Palermo.
The Smuggler Brothers traccia per traccia
L’apertura è una breve e spiritata Roll Over, in cui i fiati la fanno da padrone, il Fender Rhodes affianca con sapienza e lo swing si prende tutto il campo. Forconi e coltelli mette in scena il flauto per arricchire un tema che sa di poliziesco, inseguimenti e buon ritmo, con una chiusa di chitarra tra il funk e l’acido.
A seguire Love at first sight, in cui la chitarra dardeggia invece con dall’apertura: le luci si abbassano un po’, l’atmosfera si intorbidisce e le tastiere fanno emergere i propri suoni a volte stridenti. Lo sciacallo dimostra come la provvista di suoni acidi e di nostalgia per 60s e 70s sia tutt’altro che finita, in uno sforzo molto corale e con riff piuttosto assassini. Nel ritmo complessivamente morbido si intrufola di nuovo il flauto, ad ammorbidire in parte il discorso.
Un passo deciso e consistente caratterizza Maldido!, che a dispetto del titolo suona piuttosto “urban” e poco tex-mex. Ritmi complicati e atmosfere notturne, con il basso in grande spolvero, si materializzano all’interno di An Unexpected Rendez-vous, che si porta addosso una notevole carica di mistero.
La ricerca della soluzione dell’enigma prosegue, in mezzo a nuovi riferimenti cinematografici e non, in Chi è chi, di nuovo con la sezione fiati a spingere sull’acceleratore, ma con la chitarra a sorreggere il movimento. Si vira in ambiti jazz-prog con Inseguimento in Viale Regione, in cui il movimento organico degli strumenti porta verso un finale ricco di clamore.
Cala Rider si consente qualche divagazione lungo un percorso altrimenti dal ritmo piuttosto serrato. Passo più tranquillo e maggior spazio per la chitarra in Spavald Movement, mentre Sometime Soon si avventura di nuovo in territori che fanno pensare al jazz, con qualche grado di libertà per l’improvvisazione.
E dopo alcuni accenni non privi di ironia in Honeymoon for a Spy, si parte di corsa con il Running Theme, e Starsky e Hutch (quelli veri e originali) sembrano materializzarsi davanti ai nostri occhi, solo con qualche stilla di sangue black in più. Appare anche qualche inserimento della voce in Agguato al casinò, in cui il flauto omaggia delle proprie spuntature, in vago stile Jethro Tull. Si chiude sulle note allegre di Black Spot, cover e omaggio ad Alessandro Alessandroni, che la band esegue anche dal vivo con regolarità.
Sembrano tutte azzeccate le scelte degli Smuggler Brothers, musicisti di comprovata esperienza e con grande padronanza dei propri mezzi. I capitoli del disco scorrono rapidi, coerenti fra loro ma senza ripetizioni. Quanto durerà la tendenza al revival delle sonorità anni ’60 è tutto da vedere, ma il disco risulta apprezzabile, e tanto basta.