La foto di un ragazzino “oscurato” in copertina e cinque canzoni che si muovono nei dintorni dello shoegaze, senza farsene però assorbire totalmente: qui si parla di Cellar Demo(n)s, ep firmato da Dom The Sleaze (in fondo all’intervista lo streaming dell’ep). Lo abbiamo intervistato.

Mi puoi raccontare qualcosa della tua storia?

Sono un 30enne residente in una cittadina in provincia di Bari, e come tanti ho iniziato a suonare la chitarra durante l’adolescenza, verso la fine degli anni ’90, all’epoca pesantemente influenzato dal pop inglese e dai Beatles.

Il mio progetto solista è fondamentalmente nato proprio da quando ho iniziato a suonare; sapevo a malapena fare 3 accordi sulla chitarra e già composi la mia prima canzone.

Non era niente di che, ma questo mi ha spinto ad acquistare poco dopo un economico registratore a quattro tracce a cassette, che uso tuttora, e da allora non mi sono più fermato. In questo modo è nata anche la passione per il mondo della registrazione, che è andata di pari passo a quella della composizione.

Un po’ per scelta e un po’ per necessità economiche sono sempre stato attratto dal lo-fi, trovo grandioso che tantissimi artisti riescano a veicolare la propria musica registrando con mezzi poverissimi; è stato ovviamente molto naturale per me seguire la stessa scia.

Dal 2007 ho suonato nei Moaning Wells, dove ricoprivo il ruolo di chitarrista e scrivevo anche la maggior parte delle canzoni. Dopo una lunga gavetta di concerti fatti sopratutto in ambito locale e pochi demo (recuperabili su internet) nel 2013 ci siamo sciolti.

Dopo qualche mese dallo scioglimento del gruppo ho deciso di rinascere come solista chiamandomi appunto Dom The Sleaze, facendo quello che mi riesce meglio, ovvero canzoni semplici di pop chitarristico, distorte e un po’ shoegaze. In questo progetto mi avvalgo della collaborazione della mia amica Arianna Caprioli per quanto riguarda la scrittura dei testi.

Come nasce il progetto “Cellar Demo(n)s”?

In realtà questo ep non lo posso neanche considerare un progetto, non essendo stato pianificato: è semplicemente una raccolta delle ultime 5 canzoni che avevo scritto.

Sono canzoni molto diverse ed eterogenee, ma una volta terminate le ho considerate degne di pubblicazione. Molti che lo hanno ascoltato dicono che sembra un ep uscito negli anni ’90, e non posso che dare ragione a loro. Ma questo non era assolutamente voluto, è venuto fuori così in modo abbastanza naturale.

Definisci le canzoni “cinque brani registrati veramente male per il vostro piacere” e dici che il disco è stato registrato “in una cantina molto fredda”: a questo punto vorrei conoscere qualche altro particolare di una registrazione che mi sembra piuttosto avventurosa…

L’ho registrato nei ritagli di tempo, tra gennaio e febbraio 2014 nella cantina di casa, in quanto all’epoca non avevo una sala prove. E faceva davvero freddo, tant’è che ero costretto a mettermi sciarpa e giubbotto ogni volta.

Un po’ per abitudine, un po’ perché sono abbastanza restio alle tecnologie moderne e non mi piacciono le scorciatoie, ho registrato il tutto sempre con il quattro tracce a cassetta, non usando software o simulatori di amplificatori, né editing né qualsiasi cosa potesse semplificarmi la vita.

Non potendomi permettere di avere volumi alti ho dovuto registrare collegando direttamente chitarra e basso al registratore, senza amplificatori.

Mi sono concesso il lusso del pc solo per mixare le tracce a lavoro finito. Per la voce poi ho usato un microfono autocostruito e per le batterie invece mi sono avvalso di una gloriosa drum machine, a volte programmata, a volte suonata “live” diteggiando sui pulsanti.

So che per molti può sembrare il tutto troppo cervellotico, ma lavorare in un ambiente così limitato mi costringe a essere creativo, ed è grazie a questo modo di lavorare che i brani si sono evoluti, sono diventati più sporchi e distorti, infatti le versioni primordiali erano molto diverse da quelle poi finite nell’ep.

In ogni caso si tratta di una raccolta di demo, sicuramente qualche brano lo registrerò nuovamente più in là, questa volta però con un batterista vero e con gli strumenti amplificati come si deve.
Il bambino della copertina sei tu? E perché questo senso di indeterminazione dato dalle zone oscurate?

Sono io, è una fotografia del 1992, quando avevo 8 anni.
La copertina è una rappresentazione della canzone The Shield, ovvero dell’incapacità di comunicare e di esprimere emozioni