SPZ è nato e cresciuto a Roma, dove vive da sempre. Ha iniziato a suonare la chitarra quando aveva 10 anni. “Mi piace la musica, il kung fu e le persone.”– SPZ
Cantautore trasognato, si inserisce in quel linguaggio internazionale che fa a pensare a Mac DeMarco, Connan Mockasine altri giganti di quel mondo, proposto però con testi in italiano che riflettono il suo personale mondo espressivo, quello di Roma, la sua città.
Il suo sound è una fusione tra dream pop e psichedelia, i suoi brani girano attorno a dolci simbiosi tra voce, chitarra e tastiere. Tra un lato spensierato e uno più emotivo, SPZ canta canzoni fresche e leggere, dove nostalgiche melodie lo-fi rievocano atmosfere eteree, romantiche, quasi oniriche e quella dolce leggerezza da testa sulle nuvole. Un cantato incredibilmente delicato e suoni esili che richiamano un certo tipo di soft-pop degli anni ’70. SPZ pare uno spirito libero dell’indie italiano.
SPZ traccia per traccia
Si incomincia da Quattro, canzone piena di rimpianti e sofferenze con un po’ di elettronica ma anche molto groove e personalità.
Più morbidina Nubi, che si addensano in cieli sintetici, per una fioritura sonora e un testo che parla di “cento morsi”.
Molto più minimal la partenza di Dovrei, che si avvita intorno ai movimenti di una chitarra dal sapore quasi post grunge e ricchissima di tristezze.
Ipnotica e quasi psichedelica, sicuramente piuttosto “antica” come modi e movenze, ecco Non mi vuoi più che chiude il disco.
La via elettrica all’indie di SPZ funziona e coinvolge, oltre ai paragoni internazionali ne può attirare uno più nostrano con Colombre e sembra destinata a ulteriori e anche più interessanti evoluzioni.