Two Dots è il nuovo singolo dei The Ghibertins, disponibile su tutte le piattaforme digitali, un nuovo capitolo che segue il precedente singolo Numbers, pubblicato a marzo. Si tratta di un brano che scava nel cuore delle relazioni umane, esplorando il delicato equilibrio tra lontananza emotiva e bisogno di riconnessione.
Con una scrittura intensa e viscerale, la canzone racconta la storia di due anime che, pur condividendo lo stesso percorso, sembrano destinate a muoversi in direzioni opposte. Il simbolo del cerchio diventa il fulcro narrativo del brano, metafora di un ciclo continuo di errori, perdono e crescita. L’ascoltatore si ritrova immerso in un dialogo interiore fatto di fragilità e desiderio di riscatto. Li abbiamo intervistati.
Il vostro nuovo singolo Two Dots conferma una cifra stilistica ormai solida: cantate in inglese con una naturalezza sorprendente. Vi siete mai chiesti se questa scelta possa essere un limite per il pubblico italiano, o è sempre stata una direzione inevitabile per esprimervi al meglio?
Cantare in inglese per noi non è mai stata una posa o una strategia: è la lingua in cui ci viene naturale scrivere, quella che meglio accoglie il nostro immaginario musicale e narrativo. Sicuramente può rappresentare un ostacolo per una parte del pubblico italiano, ma la verità è che non ci siamo mai posti il problema in termini di “mercato”. Ci interessa arrivare con sincerità, e per farlo dobbiamo restare fedeli al nostro modo di comunicare. In fondo, la musica è un linguaggio universale — e l’emozione non ha accenti.
Milano è una città dove convivono scene musicali molto diverse, spesso in competizione implicita. Che tipo di spazio credete occupi la vostra proposta oggi, in una scena sempre più affollata e frenetica?
Milano è casa, ma è anche un campo di battaglia creativo. La scena è viva, spesso frammentata, ma è proprio in questo caos che si possono creare connessioni inaspettate. Non sentiamo di dover “occupare uno spazio” preciso: la nostra proposta è forse meno allineata alle tendenze del momento, ma più che outsider, ci sentiamo “in cammino”. Cerchiamo di costruire un percorso coerente e personale, che possa parlare a chi ha voglia di ascoltare con attenzione, senza fretta.
Il sound di Two Dots ha una pulizia e una profondità quasi cinematografiche, che ricordano band internazionali più che italiane. Vi sentite un po’ outsider nel panorama musicale locale, o c’è una rete di artisti con cui vi sentite affini?
Probabilmente siamo outsider, ma non per scelta: è semplicemente il suono che ci rappresenta. Amiamo arrangiamenti curati, atmosfere ampie, e una produzione che lasci spazio all’emotività senza cadere nel manierismo. Detto questo, in questi anni abbiamo incrociato diversi artisti — anche in Italia — che condividono un approccio simile, pur partendo da mondi sonori diversi. Più che una “scena” definita, sentiamo una rete sotterranea fatta di affinità artistiche e umane.
Lavorare in inglese in Italia può sembrare una sfida ostinata. Ma forse è anche una forma di libertà. Cosa vi spinge a continuare su questa strada, e che tipo di ascoltatore immaginate per i vostri brani?
Sì, è una sfida. Ma è anche una scelta di libertà, come dici. Scrivere in inglese ci permette di uscire dai confini, non solo geografici, ma anche mentali. Ci dà respiro, ci costringe a essere più essenziali, più evocativi. L’ascoltatore che immaginiamo è curioso, aperto, magari abituato a scavare nei testi oltre la superficie. È qualcuno che cerca una connessione emotiva profonda, non solo una melodia che suona bene.
Cosa rappresenta Two Dots nel vostro percorso? È un episodio isolato o anticipa una nuova fase artistica (magari un disco)? E come si inserisce nel vostro equilibrio tra suono live e produzione in studio?
Two Dots è un ponte. Nasce da un’urgenza emotiva, ma ci ha aperto nuove possibilità anche dal punto di vista sonoro. È il primo passo di una nuova fase, sicuramente. Non possiamo ancora dire se sarà parte di un disco, ma stiamo già scrivendo molto. È anche un brano che sentiamo fortemente “live”, tanto che lo abbiamo presentato qualche tempo fa con un secret concert dedicato. In fondo, per noi studio e palco sono due facce della stessa ricerca: raccontare storie vere, con autenticità.