Esce oggi, 30 ottobre 2020, Canzoni che sarebbero dovute uscire tot anni fa, il disco d’esordio di Vanbasten, nome d’arte di Carlo Alberto Moretti. Basi new wave, poetica urbana e diretta e un’attitudine decisamente punk si snodano in questa opera prima di Vanbasten.
Una carriera calcistica giovanile interrotta per amore della musica a 22 anni, un primo ep pubblicato e una serie di singoli – 16enne, Pallonate, Santamadre, Mascara, Kenshiro e Bevi Bevi – sono il preludio all’esordio discografico di Vanbasten: un album che contiene 10 brani, rappresentativi di un immaginario fatto di periferie, amori, ferite, violenza, sconfitte, voglia di rivincita e di riscatto, in cui è l’esigenza di descrivere la realtà a guidare la narrazione
Vanbasten traccia per traccia
Giro iniziale così Cure che di più non si può, Kenshiro apre l’album lasciando spazio poi per qualche variazione del tema, qualche dissonanza e qualche ricordo del passato, più rabbioso che dolce.
Un po’ più confidenziale il tono con cui si dipana Mascara, sorretta comunque da un battito netto e da sensazioni new wave.
16enne esplora aspetti borderline della giovinezza, mentre il basso armeggia in profondità. Connotati ossessivi e martellanti prendono possesso della ritmica.
Ragionata per quanto riguarda le dinamiche e perfino un po’ romantica Santamadre, tra lasonil e tasti neri. Si torna a nostalgie più veloci quando attacca Pallonate, che sciabola di gusto con retrogusti anni ’80. “Quanta violenza/quante pallonate“.
Ecco poi Bevi bevi, proposta anche come singolo (ok, praticamente come tutto il resto del disco), che sta nei pezzi a medio tempo, con un fare più dialettico che aggressivo. Canadair torna al sussurrato, con parole giustapposte in maniera poetica o casuale, per costruire un tessuto molto fitto, finendo in una strofa rap.
Si flirta con l’hip hop anche con Senna, che ha caratteristiche molto “aperte”, nel senso che sensazioni e sonorità cambiano in corsa, per un pezzo che risulta particolarmente “indie”, alla fine.
Un beat decisamente dance, molta ironia piuttosto amara, una visione allucinata delle cose quotidiane sono alla base di Eurospin.
Il disco chiude con Sparare sempre, altri due passi in un testo che sa di surreale e di peculiare, ma anche un po’ di apocalittico.
Talento singolare, che riesce a un tempo a essere dentro e fuori la wave attuale dei cantautori italiani, comunque la si voglia chiamare, Vanbasten gioca con suoni e testi in modo plastico, ottenendo un disco che ne autorizza il passaggio quasi automatico nel gruppo di “quelli da tenere d’occhio da vicino“, perché queste canzoni sarebbero dovute uscire un tot di anni fa, ma è bene che siano uscite qui e ora.