Dopo ben sei anni di assenza dalla scena musicale, i Virginiana Miller tornano con un nuovo album, The Unreal McCoy, completamente in inglese, per la prima volta su etichetta e distribuzione indipendente SANTERIA/Audioglobe.
The Unreal McCoy disegna in nove tracce un ritratto immaginario dell’America pensata da oltreoceano, né più né meno della Malesia immaginata da Salgari senza muoversi da Torino, e non è quindi detto che alla fine questa fake America, sognata dal luogo più remoto della provincia di un impero ormai in dissoluzione, non possa dirci qualcosa di vero sull’originale.
L’album è stato prodotto nuovamente da Ale Bavo, missato da Ivan A. Rossie, masterizzato da Justin Perkinsal Mystery Room Mastering Studio a Milwaukee in Wisconsin.
I Virginiana Miller ci presentano l’album con questo messaggio: “Quando iniziammo a comporre le prime canzoni, cantare in italiano per una band era ancora una scommessa. Ma non ci lasciammo spaventare e forse un po’ contribuimmo, con altri, a crearela scena di quello che oggi ch
I Virginiana Millerci presentano l’album con questo messaggio: “Quando iniziammo a comporre le prime canzoni, cantare in italiano per una band era ancora una scommessa. Ma non ci lasciammo spaventare e forse un po’ contribuimmo, con altri, a crearela scena di quello che oggi chiamate “indie”
Ora, in questo 2019, abbiamo due notizie da darvi. Prima quella cattiva: in italiano non abbiamo più voglia di dirvi niente. Quella buona però è che siamo lieti di accogliervi nel nostro nuovo mondo immaginario. Nell’immaginario del nostro mondo nuovo. Ladies & Gents, The Unreal McCoy”.
Virginiana Miller traccia per traccia
Come un vento che arriva da lontano, ecco The Unreal McCoy, canzone d’apertura nonché title track dell’album. Dopo l’introduzione si apre spazio al drumming e alla voce, che racconta di cowboy e di gente che vuole fare l’America di nuovo grande. Scenari spaziosi ed evocativi, percorsi a bordo di chitarre taglienti.
Un po’ più diretta, ma comunque rimescolata dall’interno, la seguente Lovesong, con il pianoforte che prova ad addolcire le amarezze di un cantato molto 90s.
Più fluida e meno sofferta, ecco poi Old baller, che si avvicina quasi al pop per i modi. Molto più intima Motorhomes of America, sostanzialmente una ballad folk ammantata di malinconie.
Qualche fischiettìo e un’atmosfera complessivamente placida, con un po’ di chitarra e voglia di raccontare, caratterizzano Christmas 1933.
Suoni scivolosi e scintillanti aprono The End of the Innocence, tutta basata su un giro di chitarra e su un fiorire di parole.
Soldiers on leave si muove su toni bassi e su sonorità morbide, parlando di giorni assolati.
Si prosegue con una più fiammeggiante Toast the Asteroid, molto più sintetica degli altri pezzi, corale e quasi ottimista.
A chiudere ecco Albuquerque, che torna a lavorare nell’oscurità, arpeggiando in basso e infondendo un’aria quasi jazzata, pur senza scostarsi dalle radici rock.
La nuova veste dei Virginiana Miller gli si attaglia piuttosto bene: del resto la band è in giro da abbastanza tempo da aver accumulato esperienza e versatilità sufficienti da poter fare un po’ quello che a loro pare.
Certo l’idea di non ascoltare più canzoni in italiano da parte loro è un po’ drastica. Anche se obiettivamente questo disco non poteva che essere cantato così. E il risultato eccellente è lì a testimoniarlo.