Whip Hand, “Sometimes, We Are”: la recensione

Sometimes, We Are è il nuovo lp della band tranese Whip Hand. Il disco parla di rapporti che s’incrinano, necessità che cambiano, persone che intraprendono percorsi differenti. È un cammino che porta inevitabilmente a riflettere sulle proprie priorità, fino al convincimento di essere gli unici a poter pienamente controllare la propria vita.
Sarà pubblicato il 12 ottobre per MiaCameretta Records e Lady Sometimes Records. Apparentemente Sometimes, We Are si presenta come il capitolo meno oscuro e malinconico della storia della band. Man mano che ci si immerge nell’ascolto, però, ci si rende conto che non è così perché, sebbene sommerso, il senso di inquietudine emerge ascolto dopo ascolto.
È il primo disco che presenta la seconda chitarra, fondamentale per il nuovo sound dove giocano un ruolo molto importante gli intrecci delle sei corde. Senza abbandonare le influenze dei primi lavori, Sometimes, We Are si presenta più genuinamente dream-pop, con una voce mai come stavolta sussurrata e sognante.
Whip Hand traccia per traccia
Che sia cambiato qualcosa lo si avverte fin dalle prime battute di Lay Down, traccia d’apertura del disco che si solleva in cieli nuvolosi ma comunque più vicini al mondo shoegaze che a quello più propriamente dark wave che aveva caratterizzato i lavori precedenti.
Your Thoughts raddoppia le sensazioni e costruisce proprio sull’intreccio molto fitto delle chitarre, che sfocia in un’insistenza molteplice nella coda finale del brano.
Pensierosa e un po’ più oscura, Already Gone, forse più legata nostalgicamente al passato anche della band rispetto al resto del disco.
Anche la rapida The One Who Take Care of the Past risente di idee dark, benché a spingerla avanti sia soprattutto una batteria “rotolante”, per un impeto molto sostenuto.
Compromises risente di risonanze oscure e si spezza in frammenti di struttura ora più insistenti ora più calmi.
Apertura quasi spirituale per I’ll never be (but), che sa di intermezzo lungo e tempestoso. Viatico per Sometimes, We Are, la title track che si carica di nuvole elettriche, scaricando il proprio motore su piste oscure e malinconiche.
Cannonball non parte proprio a cannone, anzi sembra riservarsi qualche spazio per ripensamenti e risentimenti.
Si torna ad atmosfere più dreamy con Summer Day, che apre con molta chitarra e batteria, e chiude con le sei corde impegnate in tessiture molto fitte.
Regret Theory chiude la porta sul disco con una certa dose di energia e ancora con trame spesse e dense.
Sono indubbiamente cresciuti, e cresciuti bene, gli Whip Hand, che fin qui avevano dato mostra di un talento molto influenzato dalle band del passato, e che invece con questo disco mostrano tutte le capacità di sostenere un volo già spiccato.