Volevo parlare di donne. Non le donne “dolcemente complicate”, non le donne “a un telefono che non suona mai”, non le donne “che lo sanno”. Volevo parlare delle donne che hanno imparato a farsi conoscere soltanto da pochi, che non hanno perso il colore della loro anima nonostante le categorie in cui sono state rinchiuse, nonostante i confini tracciati intorno alla legittimità dei loro sentimenti, nonostante la disambiguazione che non trova il risultato sperato nonostante tutti i campi siano stati compilati correttamente.
La musica, la letteratura, l’arte, da sempre rendono il femminile un universo parallelo, imperscrutabile, e la sottocategoria indie non è certo da meno. Tanti sono i nomi di donne che riecheggiano nei versi delle nuove canzoni icona. Quello di Veronica è il dolore che s’indossa d’inverno è l’unica certezza di ogni amante mortale, e le mie donne sanno mancare da star male quando ci si accorge della loro grandezza.
Una grandezza che è fatta di piccoli incontri, di momenti che sembrano eterni nel ricordo, come quando Greta sperava di non crescere mentre sapeva di aver perso troppo tempo ad occupare il tempo. Come se fosse facile trovare la propria identità, in un mondo di ansie usate in vendita a buon mercato che si incollano all’anima, e che rendono Camilla così bella e fragile.
Spesso anche io, come loro, ho vissuto in un mondo parallelo, in cui ogni declinazione del possibile diventava fastidiosamente inverosimile. Il realismo l’avrai lasciato a qualche mercatino equosolidale lo hanno detto a Irene ma avrebbero potuto dirlo a una delle mie donne qualsiasi, nel momento in cui per un sogno hanno deciso di distruggere mille realtà. E non resta che ballare, provare a dimenticare, correre forte e cercare, come Mylena, un po’ di conforto in occhi e mani nuove, mentre il ritmo della sera culla il rimorso del giorno dopo.
Riordinarsi i vestiti, riordinare i pensieri sulla via del ritorno, perché Anna in fondo si sente parte di una generazione di finti sognatori, di sognatori diventati consumatori. Consumatori che si consumano dietro definizioni, aspettative, logorii. Aurora ripensa a quante volte nella notte si sente sola, nei momenti vuoti, perché quello che vorrebbe dire è sempre sulla punta del lucchetto che ha chiuso a chiave la voce, fatta a pezzi tra un girone e l’altro del proprio personalissimo inferno.
“Mi piace fantasticare e mettere alla fine delle frasi il perché” lo ha detto Ilenia quando non riusciva a farsi leggere, ma potrebbe dirlo ognuna delle mie donne, delle donne dell’indie. Quelle ragazze che stanno bene, come Chiara e Sara, più belle adesso mentre sfioriscono, come i fondali oceanici che resteranno sconosciuti, ma solamente ai pigri e ai reazionari.
Chiara Orsetti