chicken queens 2

Abbiamo parlato un paio di giorni fa dei Chicken Queens e del loro nuovo disco Buzz (qui la recensione), ricco di influssi garage, di radici blues e rock, di spirito punk. Oggi proviamo a capirne di più rivolgendo qualche domanda alla band.

Dal primo al secondo disco avete cambiato molto, aggiunto strumenti e collaboratori, arricchito il suono. Che cosa vi ha spinto a queste variazioni? Avete anche cambiato modalità di lavorazione delle canzoni? Siete totalmente soddisfatti del suono che avete ottenuto?

L: il nuovo disco e così diverso perché lo abbiamo cercato così, lavorando su quello che sono ì The Chicken Queens, riversando al suo interno quello che abbiamo sviluppato in due anni di live e prove. Abbiamo fortemente voluto creare qualcosa di più articolato a livello di polivalenza del suono e lo abbiamo fatto lavorando insieme fin dal principio.

Abbiamo lavorato tanto in saletta improvvisando sulle diverse idee proposte da entrambi, a volte diverse ma mai troppo distanti, e dopo aver costruito lo scheletro di ogni brano abbiamo pensato a tutto ciò che potesse arricchirlo , colorarlo ma restando sul pezzo. Siamo veramente contenti di come è uscito “BUZZ” dopo tutto il lavoro fatto.

Come nasce “Clap Your Hands”, che avete scelto come singolo?

M: Clap Your Hands è stato il primo pezzo in assoluto scritto per BUZZ e ho scritto questo giro blues che si basa su un giro  che salta dalla prima alla terza  per ogni accordo intervallato da un riff velocissimo (per me). Quando la suonammo per la prima volta in saletta, finito il pezzo, io cominciai a suonare solo i primi due accordi in maniera compulsiva e venne fuori l’intero brano, che è la parte che preferisco, perché esce dallo schema blues e diventa qualcosa di molto noise, forse ripetitiva ma assolutamente coerente con quello che vogliamo essere.

Perché avete scelto di omaggiare “Rollin’ and Tumblin'”?

M: Ma in realtà ci sono molti omaggi in tutto il disco. Anche Cherry Bomb per esempio, che sono quelli più evidenti. Gli altri sono nascosti  (“This are my electric boots” in Clap è una citazione di Bennie  and The Jets di Elton John ad esempio) ma sono davvero tanti. Mi piace giocare con quello che ascolto e farlo diventare “nostro” in un certo senso.

Rollin’andTumblin’ è un pezzo che ho sempre amato e quando abbiamo cominciato a pensare di scrivere un pezzo in cui canto solo sui tamburi mi sono ricordato di un film di Scorsese che parlava dell’importanza del tamburo nel blues più rurale e di quanto riprendesse la tradizione più africana di quella musica. E quindi mi è venuto automatico inserire una citazione di un pezzo che è arrivato a noi in maniera cosi grezza e semplice e primordiale.

Potete raccontare (in modo comprensibile anche ai non esageratamente tecnici) la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?

M: Io sono sempre stato molto attratto dai suoni vintage, d’altri tempi. Non ho mai suonato nessun pedale distorsore che non fosse un fuzz (il primo vero distorsore a pedale) per esempio. Ho comunque una strumentazione molto semplice e limitata per cercare di avere una resa di suono molto sincera che esalti chitarra e ampli in primis.

Si è suonata qualche parte di basso con un Hofner Viola Bass Che secondo me è uno dei bassi più belli a livello di suono. Sia chitarra, sia basso sono stati amplificati su dei vecchi Fender, cercando di mantenere un suono anni ’50.

L: La batteria che ho suonato in BUZZ è una Yamaha entry level vecchissima. Ha un suono molto grezzo. Il produttore Stefano Riccò del Dude Music di Correggio è stato veramente bravo a farla rendere al meglio sul disco. Su ogni brano abbiamo provato diversi rullanti e ci siamo divertiti molto a giocare con le microfonazioni e gli ambienti che poteva regalare lo studio.

Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?

M: Ora come ora mi sento di dire Viterbini. Ne sono rimasto completamente rapito. Forse più bello da solo che coi BSBE. E i Verdena che fanno sempre della roba incredibile e sempre nuova.
L: In questo momento sono due le band indipendenti italiane che stimo maggiormente. I primi sono gli Aucan perché hanno un appeal davvero internazionale e i BUD SPENCER BLUES EXPLOSION. Entrambe picchiano davvero pesante, hanno un sound che pettina con una formazione ridotta. Sono un esempio per me.

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