La proposta di Aigì riflette un desiderio di ricerca che non può limitarsi a una mera adesione stilistica: il cantautore di orgine calabrese dipinge un quadro complesso, che vuole in qualche modo offrire soluzioni opportune a ogni stato d’animo. Abbiamo fatto qualche domanda all’artista, per saperne di più.

Aigì, ti ritroviamo con un ep appena sfornato: che “profumo” hanno le sei canzoni di Mood-pop?

Il profumo del mare, da cui vengo, e della città, dove vivo. 

Parliamo di te. Una storia particolare, la tua, a partire dal tuo nome d’arte: una voce errabonda che (forse) sembra aver trovato il suo posto proprio con Mood-pop. Cosa c’è nel passato e nella gavetta di Aigì?

Aigì è la pronuncia delle iniziali Antonio Il Grande. Con il nome anagrafico ho mosso i primi timidi passi nel mondo del cantautorato. Dal 2021, invece, ho scelto il nome d’arte Aigì per un progetto più maturo. Da allora tanti concerti e diverse partecipazioni a premi (come la finalissima del Lunezia e la semifinale del Musicultura) e a contest.

Ecco, parliamo proprio di gavetta: quanto pensi sia importante non “saltare” lo step della gavetta, per un artista?

Per quanto mi riguarda, ho scelto consapevolmente il giro lungo. Mi piace l’idea di assaporare ogni singolo scalino, perché credo che il percorso artistico sia prima di tutto un percorso umano, e come ogni percorso umano ha bisogno dei suoi tempi fisiologici. 

Sei canzoni che scintillano in modo diverso, esplorando i confini del pop: come nasce l’idea di un disco così “versatile”? Non hai avuto paura di “perdere coerenza”, nel proporre un’impianto creativo simile per il tuo ep d’esordio? 

Questo disco nasce forse proprio dalla paura di “perdere coerenza”. Ho puntato tutto sulla versatilità per renderla, paradossalmente, un tratto distintivo.

Pur presentandosi diverse nell’abito, le canzoni del disco tra loro “risuonano” interiormente: c’è un legame che racchiude tutti i brani in un unico pugno di testi, che alla fine raccontano tanto di te in un’altalena di suoni e colori. 

C’è un brano, fra tutti, che senti più vicino al cuore?

Cherosene è probabilmente il pezzo più intimo: le sensazioni che lo hanno ispirato si rinnovano a ogni ascolto e a ogni live.

Abbiamo avuto modo di scoprire sui social l’importanza che dai alla dimensione live del tuo progetto. Quanto è importante oggi, nell’era della mediatizzazione, continuare a suonare dal vivo? C’è chi lo ritiene un aspetto dispensabile…

Io credo che, in un mondo in cui tutto si è liquefatto, l’esperienza del live (sia per l’artista che per gli spettatori) mantenga una forza tale da ricordarci quanto siano importanti le relazioni dirette, e che la musica è fatta di vibrazioni, di odori, di sguardi e di condivisione, tutti elementi che lo streaming non potrà mai riprodurre. 

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