Si chiama Un’altra musica il nuovo progetto di Arau: un cortometraggio che racconta la storia di un artista stanco e un po’ demoralizzato che, al termine di un ennesimo concerto mal retribuito, si trova a cenare in un locale storico di Bologna, la taverna da Vito, in cui tanti artisti della musica italiana hanno trascorso serate disquisendo di musica e molto altro, un po’ come si troverà a fare il protagonista, interpretato dallo stesso Arau.
All’interno di questo cortometraggio, il cantautore sardo (ma bolognese d’adozione) riarrangia e interpreta, facendo propria insieme alla sua chitarra da ginocchia, la storica L’anno che verrà di Lucio Dalla, uscita da poco come primo singolo ufficiale di questo progetto che andrà avanti nei prossimi mesi raccontando nuove storie e omaggiando in maniera originale altri cantautori della musica italiana.
Ci facciamo presentare meglio da Arau (al secolo Toni Cogoni) questo progetto e le altre idee in lavorazione in questo periodo.
Com’è nato Arau?
Be’, diciamo che ad un certo punto della tua vita ti capita di iniziare a sognare e di non riuscire più a smettere di farlo, ti capita di voler provare e riprovare ancora quel gusto unico di manipolare la tua immaginazione e renderla tangibile nella realtà, ti capita di voler mescolare sentimenti e storie appassionanti, ti capita di voler costruire sensazioni uniche che rimangano indelebili nella tua storia personale. Insomma, Arau, che in lingua sarda indica l’atto della coltivazione, nasce proprio per queste ragioni.
Come hai imparato a suonare la chitarra?
Fin dalle elementari avevo riscontrato facilità nella riproduzione di spartiti, motivetti e canzoni suonando il flauto, che mi valse pure l’attenzione di tutto l’istituto! La mia prima chitarra invece mi fu prestata da un amico: avevo 16 anni, era una chitarra spagnola presa da una vecchia soffitta in cantina, e mi ricordo che perdevo delle mezze giornate solo per accordarla! Ma le canzoni venivano fuori ugualmente: qualche accordo di base e il gioco era fatto.
Fu poi grazie all’incontro con Roberto Usai, fondatore del gruppo Almamediterranea, che decisi di dedicare anima e corpo a questo strumento. Fu lui il mio primo vero insegnante di chitarra acustica.
E la slide guitar?
Era il lontano 1994 quando vidi su Mtv un artista bravissimo, con le treccine, che suonava in un modo assurdo una specie di chitarra elettrica appoggiata sulle ginocchia; e che voce! Sto parlando di Ben Harper e del disco che mi ha segnato per sempre: Welcome to the Cruel World. Un alieno inarrivabile ancora oggi.
Ho imparato a suonare lo slide da ginocchia da autodidatta, copiando e imitando quello che faceva Ben Harper, ma è stato sicuramente un percorso fatto di applicazione costante.
I tuoi lavori inediti (Rabdoamanti e La lunga eclisse) sono generalmente incentrati sul tema dell’amore moderno, del romanticismo e del rapporto uomo-donna. Della lunga tradizione musicale e letteraria legata al tema amoroso, quali autori senti a te più vicini?
Be’, il sovrano incontrastato delle canzoni d’amore è per me indubbiamente Luigi Tenco, da lui bisogna partire se si vuole iniziare a parlare di canzoni d’amore; ma negli anni questo tema si è evoluto e la liturgia classica e sacra di raccontare l’amore nei testi è cambiata.
Un’altra artista cui devo molto è Cristina Donà, di cui personalmente per anni ho subito il fascino. La vidi per la prima volta ospite in tv da Red Ronnie, mi pare fosse il programma HELP su Videomusic, e ricordo che rimasi impietrito da così tanta bellezza artistica. La Donà ha introdotto nuove forme di comunicazione legate al racconto dell’amore, “L’amore vero si nasconde in gola | taglia le parole | non sorpassa la lingua”. In questa poesia tratta dal libro Appena sotto le nuvole scritto dalla Donà, è riassunto il nucleo del suo concetto di raccontare l’amore.
Poi c’è Niccolò Fabi, a mio avviso uno dei pochi cantautori italiani che è riuscito sempre a bilanciare la forma canzone senza eccedere mai nella verbosità del testo. Dopo l’album Novo mesto non ho sentito in giro tanti altri cantautori bravi e capaci come lui.
Torniamo alla tua recente attività. La storia di Un’altra musica si può dire che è la storia di tanti artisti del passato e del presente, i quali, in cerca di fortuna, si rompono le ossa e macinano chilometri tante volte per pochi spiccioli. Qual è il motore che li spinge a continuare?
Sai, la vita del musicista è molto complicata: alcuni vivendo si sono persi per strada, hanno cambiato mestiere perché la musica non gli dava più il pane, si sono reinventati. Oggi i poeti e gli scrittori forse guidano i taxi o lavorano dietro al bancone di un bar. L’arte si sa, è sempre stata bistrattata…
Il motore per continuare deve essere la consapevolezza di questa verità e poi ci deve esser una passione così forte che, nonostante questa consapevolezza, continui a dare la forza di lavorare alla propria espressione artistica.
Tu sei un musicista, ma in Un’altra musica fai anche l’attore. Come ti sei preparato per recitare il ruolo del protagonista in questo cortometraggio?
Per recitare il ruolo del musicista, ho pensato di fare la cosa più naturale che si potesse fare e cioè quella di trovare un professionista del settore capace di istruirmi e darmi i rudimenti di base della recitazione. Così, dopo un po’ di coincidenze fortuite, ho avuto il contatto di Licia Navarrini, un’attrice nota nel mondo dello spettacolo, della tv e del cinema.
Per circa due mesi, all’interno del Teatro Tivoli, abbiamo lavorato assieme le parti del copione, provando e riprovando, cercando la giusta impostazione, e devo dire che Licia è stata bravissima a prepararmi in così poco tempo: non era per niente facile…
Per quanto riguarda la colonna sonora di questo primo cortometraggio, L’anno che verrà di Lucio Dalla, quando hai deciso che sarebbe stato il brano perfetto per inaugurare questo progetto?
Vivo a Bologna da 17 anni, mi è sembrato doveroso aprire questo progetto con Lucio per rispetto e gratitudine verso questa città che mi ha dato tanto nel corso degli anni.
Il testo de L’anno che verrà è uno dei più geniali tra quelli scritti da Dalla, è molto malinconico e l’ho sempre sentito vicino al mio modo d’essere.
Nella tua musica quanta importanza hanno i testi, quanto la musica e quanto gli arrangiamenti?
La musica per me è dipendente dagli arrangiamenti e i testi sono sempre in funzione della musica. Tutto deve essere in equilibrio.
Per i testi sono sempre molto attento, cerco di non essere dispersivo o prolisso, altrimenti diventa recitazione e non canzone, ma soprattutto il testo deve essere musicale e seguire una ritmica, cosa molto importante per me.
La dimensione perfetta per Arau è il palco o lo studio di registrazione?
Il palco è un’arma a doppio taglio: se sbagli rischi di perdere credibilità e buttare al vento investimenti, lavoro.
Lo studio è un momento di grande creatività, come il pittore quando disegna una tela e poi finisce il proprio quadro. Adesso adoro molto stare in studio e realizzare in tranquillità le mie idee.
Come possiamo seguirti per aggiornarci sui prossimi episodi di Un’altra musica e in generale sulla tua attività?
Sul mio sito ufficiale www.arau.it potete reperire date, nuove uscite discografiche e potete collegarvi a tutti i miei social.
Veronica Bianchi