I Barely Awake pubblicano un potente e poderoso disco omonimo (qui la recensione), ingaggiano una fiera battaglia per aggiudicarsi il #discodelmese (potete votarli qui) e rispondono anche alle nostre domande.
Tutti fanno uscire dischi da mezz’ora, mentre voi avete fatto le cose in grande: sedici pezzi, un’ora di musica. Megalomani, iperproduttivi o ci sono altre ragioni?
Ma in realtà il motivo principale è che ci sembrava che ogni brano fosse a suo modo importante per costruire la totalità del disco. Sapevamo che sarebbe stato un po’ un azzardo, ma finora le reazioni che ha provocato ci sono sembrate coerenti con le nostre aspettative e questo ci fa molto piacere.
A parte le questioni quantitative, quali sono state le premesse e i pensieri che vi hanno accompagnato nella realizzazione del disco?
Di sicuro ciò che più ci ha stimolati a scrivere questo disco è stato l’entusiasmo del poter finalmente sperimentare ed esprimerci senza vincoli.
Veniamo da un genere e una scena ben definita che è quella hardcore, e la cosa nell’ultimo periodo ci stava veramente stretta… Quindi abbandonando la voce urlata e il sound “heavy” abbiamo potuto dare respiro a tutta una serie di sonorità e idee che avevamo represso perché non compatibili con il vecchio genere.
Potete raccontare qualcosa sulla genesi di “Where Else Is Me”?
“Where Else Is Me?” è stato l’ultimo brano che abbiamo composto ed è stato completato a meno di una settimana dalle registrazioni del disco. È nato da un piccolo riff di chitarra (quello iniziale) scritto da Rico, sul quale poi Franci ha inserito la melodia dell’altra chitarra.
In questo modo suonava molto come una ninna nanna a due voci e infatti fino all’ultimo non ci convinceva a pieno. A settembre siamo stati in “ritiro spirituale” in una casa di campagna nell’entroterra di Pesaro e ci abbiamo lavorato sopra per una settimana: avevamo provato a rigirarla in tutti i modi ma la scintilla è scattata veramente quando Diego ci ha inserito quel ritmo di batteria che spezza il riff iniziale.
Così il pezzo assumeva tutto un altro carattere e sposava perfettamente il senso del testo che oscilla tra immobilità e movimento, ed è lì che ci siamo convinti a inserirlo nell’album!
Perché avete deciso di intitolare “Vacanze romane” lo strumentale del primo lato?
Il motivo è che inizialmente ogni canzone presente nell’album era stata associata a un “luogo”. Avevamo addirittura pensato di strutturare l’album come una sorta di viaggio virtuale tra le sonorità di diversi mondi e aree geografiche ma poi con lo scrivere i testi questa idea è sfumata.
I pezzi strumentali però sono rimasti legati al luogo e la situazione che gli avevamo attribuito all’inizio, che nel caso di Vacanze Romane era un pomeriggio d’estate a girovagare con la Vespa per le strade di Roma, proprio come nel film di William Wyler.
Che significato hanno le sigle dei due brani di chiusura dei due lati, “L.2840,0”?
Anch’essi sono legati a un luogo, forse il più importante di tutta la nostra storia come gruppo. Il significato preciso però non lo sa nessuno oltre a noi, chi vuole può divertirsi a provare a indovinare!
Com’è stato lavorare con Paolo Rossi allo Studio Waves?
Con Paolo siamo amici da una vita. Da quando esistiamo come band abbiamo sempre e solo registrato da lui, persino la prima demo di 3 pezzi registrata nel 2008 (mai pubblicata) era stata fatta nel suo studio: un garage 4 metri per 3 con un computer dentro, che poi da quando si è spostato è diventato la nostra sala prove.
Ci conosce meglio di noi come band e noi sappiamo quanta passione ci metta quindi lavorare con lui è stato assolutamente naturale e stimolante.
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