Si chiama Satelliti il nuovo singolo e video di Brenneke, cantautore lombardo che ha pubblicato di recente Nessuno lo deve sapere, album che abbiamo recensito qui. Abbiamo rivolto qualche domanda a Brenneke (sotto il video)

Tre anni dopo il tuo primo lp, ecco Nessuno lo deve sapere: che cosa è cambiato nel cantautore Brenneke in questo lasso di tempo?

Be’ sicuramente nel creare Nessuno lo deve sapere ho avuto molta più padronanza di me stesso, delle mie capacità come autore e come musicista. Questo penso per via del fatto che il disco precedente in quasi due anni era stato abbondantemente suonato davanti a un sacco di pubblico. Ho imparato molto a conoscere il mio modo di scrivere portando sui palchi quel vecchio lavoro.

Quando mi sono approcciato all’idea di un disco nuovo avevo bene in testa che volevo dare risalto alla forma canzone piuttosto che alle atmosfere. Ho recuperato delle strutture che seppur più convenzionali mi hanno permesso di esprimermi con più chiarezza e forse con più emotività.

Diciamo che se prima per certe sfumature (sia in fase di scrittura sia di produzione) andavo più per tentativi, questa volta mi sono sentito più in grado di capire cosa volevo prima di realizzarlo, Anche grazie a tutti coloro che hanno partecipato, su tutti il mio produttore e batterista Matteo De Marinis.

Il titolo mi sembra molto significativo, anche perché nella spiegazione in realtà ribalti il concetto e proclami una sorta di esigenza di mettere in mostra tutto. Da quali concetti sei partito?

Nessuno lo deve sapere è una delle prime canzoni che ho scritto per il disco, ma l’idea (anzi l’esigenza) di farla poi diventare il titolo del disco è arrivata molto dopo. Cioè quando mi sono accorto che le canzoni che avevo scelto parlavano di ciò che è nascosto, dei sé stessi più profondi, di quelle cose di cui parleresti giusto a un amico fidato.

A dire il vero, mi è stato fatto notare da più persone. Così l’aspetto misterioso, quasi intimo, delle canzoni è diventato il tratto caratterizzante. I concetti alla base del disco sono in realtà molto semplici: è una parabola che parla di perdita prima e resilienza poi. Volevo che fosse una specie di viaggio che dal buio porta alla luce, e difatti il disco abbonda di metafore in tal senso.

Ironicamente nella recensione mi sono chiesto se definirti “cantautore indie” perché non c’è traccia di malinconia nelle tue canzoni. Quindi il mondo si è capovolto: tutta la tristezza sotto i cieli romani, e grande voglia di ripresa nella plumbea Busto?

In effetti non so nemmeno io se mi definirei “cantautore indie”. Io non mi sento né Indie né Itpop, dico sempre che faccio Elitepop.

A ogni modo è molto bello quello che mi dici perché spesso invece mi danno del malinconico e non capisco mai se è una cosa buona oppure no. Sono contentissimo poi che hai notato lo spirito di “ripresa” perché il senso di queste canzoni, prese tutte insieme, è proprio non arrendersi. Riguardo la tristezza romana, lo trovo molto interessante. Forse proprio perché Roma è meravigliosa, i cantautori romani sono più a loro agio nel parlare di abbandono. Sono già consolati dalla città eterna. Noi della pianura padana invece ci dobbiamo dare una mossa da soli, perché qui se non cerchi di consolarti tu è finita.

Vorrei sapere come nasce “Sto pensando di mollare tutto”, citazioni mascherate e tutto.

Ecco, quella canzone è una delle più teatrali del disco. E’ suddivisa in una parte molto sommessa e una decisamente più viscerale. Parla di abbandono delle responsabilità in ogni modo e in ogni forma. Un abbandono che non ha niente di reale, è tutto nella testa di chi si sveglia ogni mattina e pensa robe tipo: “Ora me ne vado in Canada e sparisco per sempre”. Chi non ci ha mai pensato? Assomiglia un po’ a una confidenza, come se qualcuno dicesse: “Ti svelo una cosa, ora ascoltami bene”.

Le citazioni che hai sapientemente notato, che non approfondisco per non togliere il gusto di cercarle, sono entrate da sole nel pezzo e credo che una abbia chiamato l’altra. Forse smorzano i toni potenzialmente pesanti, portano un po’ di atmosfera da filastrocca che aiuta a rendere ancora più psichedelico il tutto.

Mi ricordo molto bene quando l’ho scritta, era nata proprio dal titolo, avevo iniziato a comporla alla chitarra e in quella veste era una canzone molto allegra. Poi quando sono passato al continuarla alla tastiera ha cambiato totalmente forma e l’ho finita. 

La tua attività live è molto consolidata. Vorrei sapere dove ti si può venire a vedere dal vivo e che “abito” prendono le canzoni dell’album in questa veste.

Nel tour che verrà cercheremo di portare queste nuove canzoni ovunque. La data zero a Varese è stata pazzesca e il 2 marzo suoneremo all’Ohibò di Milano. Ho una band fenomenale, che dal vivo permette a queste canzoni di rimanere compatte come su disco, ma ne aumenta la vitalità. Ci siamo presi gli spazi per accentuare certe cose ritmiche o la presenza della chitarra. Renderà giustizia al disco. Ma sarà molto, molto più intenso.

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