Con negli occhi ancora la sua performance sanremese, i premi, il terzo posto e una “consacrazione lenta”, ma quanto mai meritata, ci accingiamo ad ascoltare e recensire L’albero delle noci, il nuovo lavoro di Brunori Sas, cinque anni dopo Cip! Consapevoli che qualche emozione la smuoverà: lo fa sempre.

Il passato, il futuro, la famiglia, le ferite dell’attualità, un po’ di ironia: in teoria gli ingredienti di questo disco sono già tutti sul tavolo della cucina, con quegli odori forti e a volte delicati che riserva il cantautorato quando è così consapevole.

La curiosità è ascoltare come li ha mescolati questa volta. Sapendo che si può cadere da una distanza siderale, perché anche noi conosciamo il sogno del Faraone. Ma è probabile che dopo la caduta ci sarà una canzone di Brunori a consolarci.

Brunori Sas traccia per traccia

Un giro di chitarra ci accompagna nell’ingresso del disco: amore e ostinazione tengono in piedi gli ideali mentre tutto intorno va a puttane. Le ragioni dell’amore, fra mille compromessi e mille ferite da evitare: Per non perdere noi racconta il sentimento che sopravvive nonostante tutto. “Siamo stati due eroi/a non perdere noi” è una constatazione più che una scoperta.

Io come sempre canguro fra il passato e il futuro/scrivo canzoni d’amore alla ricerca di un porto sicuro“: difficile scindere ormai Sanremo da L’albero delle noci, title track dedicata indubbiamente all’arrivo della figlia, ma anche a se stesso, a tutto ciò che ha portato fin qui, agli alti e bassi della felicità. Tutto senza retorica e con moltissima verità, che può ferire, ma che alla lunga risana. E’ una canzone-narrazione, potente quanto fluida, che si trasforma senza sforzo nella vita di tutti noi.

Ecco La ghigliottina a riportarci subito con i piedi per terra: si canta l’amore, ma soprattutto quello che non c’è, in un classico cortocircuito brunoriano. Il maschio caucasico etero e le sue crisi, anche lessicali, vanno in conflitto con una modernità che arriva di corsa in faccia e non sempre si riesce a gestire in modo adeguato.

Il pianoforte di La vita com’è parla di un amore che può ritornare ma che non sarà mai lo stesso. “Sai l’amore non è come volevi tu“: anche perché assomiglia alla vita, sia che si abbiano vent’anni o cento. Ma se non si riesce a vivere la vita com’è ci si troverà sempre in mezzo al guado.

Un salto quantico ci proietta nei Pomeriggi catastrofici, con un pianoforte alla Carosone, per racconta che “la vita è proprio una vera meraviglia/se stai con la famiglia“, perché niente ti accadrà: i dettagli della famiglia Brunori occupano in lungo e in largo un brano che pesca largamente dall’ironia di Dario, ma anche da ricordi veri e dolorosi.

Il battito serrato de Il Morso di Tyson ci porta invece a Tiburtina, con due ragazze che si danno un ultimo bacio e che ripensano al passato. E’ stato possibile credere all’amore, ma indietro non si torna, e gli ultimi gesti disperati non servono a niente. La canzone toglie il fiato, per il ritmo e per il contenuto, ma è ancora più completa grazie al bellissimo clip che l’ha accompagnata.

Un passaggio al dialetto per un discorso morbido e acustico su Fin’ara Luna. Anche qui si tratta di amori perduti, disperati e matti, con una grazia che abbraccia. Maria se n’è andata e chi canta non se ne fa una ragione, finendo con un dialogo con il Padreterno perché ponga fine al dolore.

Altro cambio di scenario ed eccoci a ballare al centro di Più acqua che fuoco, che tratta invece di rapporti che durano a lungo, facendo i conti con il sesso e il desiderio che scemano. Ci sono retrogusti di Battiato e CCCP qui e là, mentre Dario espone la sua visione “moderata”, che ci racconta come l’amore sia una cosa devastante e duratura. E fra ricordi del primo coito, nell’estate del ’94 dopo il rigore sbagliato da Baggio, si celebra la routine con ritmi particolarmente elevati, in un contrasto che ha un che di geniale.

La tromba e la notte avvolgono Luna nera, storia di solitudini e di tristezze. Una poesia semplice sull’astro che veglia sulle nostre notti, tra sogni felliniani e malinconie profonde, narrate con un pizzico di leggerezza e di carnalità.

C’è un’altra guardia, la Guardia giurata, a chiudere il disco, partendo da problemi di regolamenti e di ingressi alla sala parto. E sì: Brunori non ha scritto una canzone su sua figlia, ma due. Il problema è che le ha fatte entrambe con una sincerità e una semplicità disarmante: questa assomiglia a un take 1 in cui non ha corretto niente, neanche la voce che gli trema a un certo punto per le lacrime di commozione.

Ci aveva avvertito, Darione, dicendo che il disco era da ascoltare un pezzo alla volta per evitare di essere sopraffatti dalle emozioni. Tutti a pensare che scherzasse, come fa sempre quando non canta, e invece cazzo era vero.

Perché con lui è sempre così: ha la capacità di prendere spezzoni di vita normalissima e di renderli speciali senza toglierli dalla disponibilità di chi ascolta. Per questo fatico a comprendere chi lo paragona a De Gregori, che ammiro moltissimo, ma che funziona proprio al contrario e che rimane sempre nel suo empireo bellissimo di cantautore immacolato.

Brunori invece scende sempre in piazza con la chitarra e con il cuore in mano: ti prende per il culo, sorride e piange con te, ti spezza il cuore e poi ti aiuta a cercare i pezzi. Facendo quello che fanno i cantautori: raccontare se stesso con la massima sincerità possibile. Sapendo che tutto quello che dice troverà migliaia di riflessi nelle vite di chi ascolta.

Genere musicale: cantautore

Pagina Instagram Brunori Sas

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