Cau Porta: un cortocircuito di creatività

cau porta

Si chiama Grow il primo disco dei Cau Porta (e lo abbiamo recensito qui, dove trovi anche lo streaming), trio bolognese con molti collaboratori e una serie di aderenze in campo di world music. Abbiamo rivolto qualche domanda al gruppo.

“Grow” è il vostro esordio: ci volete raccontare da dove venite e quali sono state le tappe più significative del vostro percorso finora?

Due di noi sono fratelli (Vincenzo e Felix, rispettivamente batterista e bassista), quindi suoniamo insieme praticamente da sempre; l’incontro con Giovanni (chitarrista) è avvenuto a Bologna, città nella quale per un periodo abbiamo vissuto tutti e tre, perché in realtà veniamo dalla Puglia e dalla Calabria.

Verso la fine del 2014, dopo un periodo in cui avevamo suonato insieme in altri contesti, comincia a prendere forma l’idea dei Cau Porta, anche se il nome del gruppo non c’era ancora. Tutte le nostre energie si sono indirizzate sin da subito verso la produzione del materiale che poi è diventato il nostro primo disco, “Grow”.

Abbiamo iniziato da pezzi del folklore del sud Italia, suonandoli dal nostro punto di vista ovviamente, per passare successivamente alla scrittura di pezzi inediti. Nel 2015 è cominciata la collaborazione con Animamundi di Otranto, etichetta che ci ha permesso di avere nel nostro disco due tra le voci più belle che ci sono forse oggi in Italia nel panorama World Music: Maria Mazzotta e Rachele Andrioli.

Fortunatamente l’elenco dei (bravissimi) musicisti che hanno contribuito alla realizzazione dell’album è molto lungo. Nel 2018 abbiamo concluso le sessioni del disco, che sono state piuttosto complesse, anche perché da un po’ di tempo non viviamo più tutti nella stessa città, e questo un po’ ci ha rallentato nella produzione. Il primo Marzo 2019, infine, c’è stata la release di “Grow” per la Seekal’Indie, piccola label indipendente… e questo è più o meno tutto.

Avete una formazione piuttosto variabile secondo i collaboratori inclusi in ogni brano. Qual è il vostro metodo di lavoro? Insomma come nascono le vostre canzoni?

Gran parte della nostra musica nasce da jam session, nelle quali l’improvvisazione e l’interplay fra noi tre diventano la base della nostra scrittura musicale; in un secondo momento, riascoltando quello che abbiamo suonato, isoliamo le idee che più ci colpiscono o ispirano.

A volte si tratta magari di trenta secondi in una registrazione di 30 minuti, altre invece, di pezzi che anche se improvvisati, hanno una forma già abbastanza “definita”. Dopo aver individuato le idee su cui lavorare, non avendo un genere di riferimento, cerchiamo di capire in maniera molto libera dove la canzone vuole andare, e quando ci è chiaro il mood in cui vogliamo muoverci con l’arrangiamento, in base alle sonorità e al linguaggio scelto, pensiamo ai musicisti con cui collaborare, che secondo noi possono interpretare al meglio quello che sentiamo, e che molte volte grazie alla loro bravura, come in un cortocircuito di creatività, ci danno voglia di rimettere in discussione le nostre idee, portando le canzoni in posti che non ci aspettavamo… anche questo è il bello di scrivere insieme.

Cau Porta: il nostro mondo sonoro

Il viaggio, inteso anche come migrazione, è al centro del discorso nell’album. Visto che questa, a occhio e croce, è una delle tematiche centrali dei tempi in cui viviamo (anche se poi gli uomini e i popoli si spostano da sempre e per sempre nella storia dell’uomo) volete esprimere il vostro pensiero in merito?

Abbiamo provato a esprimerlo attraverso la nostra musica, in effetti. In “Grow” abbiamo cercato di far convivere nella maniera più armoniosa possibile culture musicali molto diverse tra di loro, usando strumenti, colori e voci provenienti da luoghi lontanissimi l’uno dall’altro, per ricreare nel nostro “mondo” sonoro quello che in realtà ci piacerebbe avvenisse nel mondo reale.

Crediamo fortemente che, ora più che mai, sia importante prendere posizione sull’argomento, anche se come giustamente dicevi tu, la migrazione degli uomini non è certo un evento che riguarda solo i nostri tempi, anzi! Ognuno di noi, solamente considerando la storia della propria famiglia, ne troverà probabilmente delle tracce. Noi ci siamo voluti schierare, ed essendo musicisti abbiamo usato il mezzo che conosciamo meglio per farlo.

Musicalmente parlando trovo nel vostro disco numerose influenze, dalla world music al progressive al jazz. Quali sono i vostri punti di riferimento musicali imprescindibili?

In realtà non sapremmo indicarti dei riferimenti musicali che per noi sono stati più importanti rispetto ad altri durante la produzione di questo lavoro o, più in generale, anche nei nostri ascolti quotidiani. Noi tre siamo persone molto diverse, che però hanno una cosa in comune: una passione per la musica tale da essere portati ad ascoltarla a 360 gradi, concentrandoci e apprezzando semplicemente quella che secondo noi è fatta con onestà, facendo magari poca attenzione a come incasellare ciò che sentiamo in un genere piuttosto che in un altro.

Proprio a causa della vostra formazione “variabile” immagino che portare in giro la vostra musica possa risultare complicato. Ci volete raccontare come sono i concerti dei Cau Porta?

“Complicato” è il termine perfetto per definire la nostra situazione… Nei live, per molti motivi organizzativi che potrai immaginare, non ultimi quelli che riguardano gli spazi sullo stage, o i budget che sono a disposizione in questo periodo, suoniamo con una formazione più “snella”: oltre a chitarra, basso e batteria che sono il nucleo centrale del nostro progetto, abbiamo una sola cantante (a differenza del disco dove ci sono più voci), e un polistrumentista, che copre più ruoli durante il concerto.

Per quanto riguarda i suoni elettronici o ambientali utilizziamo delle sequenze, anche se, per nostra filosofia, cerchiamo di usarle il meno possibile, limitandole ai momenti in cui sono veramente indispensabili.

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