Collettivo Ginsberg, stanchi della pesantezza

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Con un disco notevole e molto creativo, il Collettivo Ginsberg ha fatto il proprio ritorno. Si chiama Tropico il nuovo lavoro (qui la recensione) della band romagnola, e nasce con il preciso intento di far ballare chi lo ascolta. Abbiamo intervistato Cristian Fanti.

Tre anni dopo l’ultimo lavoro ecco “Tropico”: potete descrivere in quale atmosfera e con quali umori lo avete concepito?

Tropico nasce dalla voglia di fare un passo avanti, fare qualcosa di diverso, cercare un’altra via per comunicare la nostra musica. I brani li ho scritti a casa, nel corso del tempo, alcuni freschi dopo la chiusura del tour di Asa Nisi Masa, altri invece erano li nel cassetto che aspettavano il momento giusto. Quindi nel mio mondo privato ho composto le strutture che avrebbero sorretto i testi, l’immaginario e le melodie.

Asa Nisi Masa è stato un disco impegnativo, anche dal vivo, ero sinceramente un po’ stanco di quell’alone di pesantezza e ho deciso di iniziare un nuovo percorso, sia personale che artistico, verso la luce, qualcosa di più allegro, fruibile da tutti ma non per questo meno intenso e comunicativo. Volevo il sole, il ritmo del ballo, il sorriso sulle labbra.

A dispetto delle musiche, non tutti i brani (anzi quasi nessuno in realtà!) sono spensierati a pari modo, i testi hanno avuto uno sviluppo parallelo ma comunque diverso: se nella musica c’è il corpo che si muove, nelle parole invece sono i sentimenti e le emozioni che hanno preso il sopravvento, alcune tristi e malinconiche (Con due monete per esempio), ma che assumo tutt’altro carattere quando sotto c’è un riff che fa muovere le anche!!

A dispetto del titolo e della scelta dei sample che avete inserito  (Perez Prado, Miles Davis e via discorrendo), nelle sonorità di questo disco si avvertono secondo me molto forti le influenze della canzone italiana anni Sessanta (Tenco, Bruno Martino, l’easy listening e le colonne sonore). Quali sono gli ascolti che vi hanno più influenzato in quest’ultimo periodo?

Dalla e Battisti. Non nell’ultimo periodo in particolare, ma in generale sono due figure che reputo sante nella musica leggera italiana. Alcune influenze in ordine sparso: Umiliani, Mustafa Kandirali, Milton Nascimento, Os Mutantes, Dr John, Morricone, Asaf Avidan… guarda mi tocca sbirciare su itunes per ricordare tutti, sono troppi!

Ho ascoltato un sacco di musica balcanica, nord africana, mediorientale, tanto mambo, New Orleans, ho spulciato tra playlist online vecchi scaffali di dischi ascoltando il più possibile musica in lingua italiana … ah, Roberto Murolo, azz dimenticavo! Va be’ insomma, troppo dai non riesco a ricordarli tutti! Non riesco a farmi influenzare da pochi ascolti, in genere ciclicamente mi capita di ascoltare un botto di roba, poi metterla da parte e iniziare a scrivere, poi magari un po’ di silenzio e poi riascoltare e poi scrivere, fino ad arrivare a disco concluso che passo ore intere ad ascoltare le nostre registrazioni.

Rispetto al passato c’è una percentuale maggiore di testi originali: qual è il motivo di questa scelta?

Mah allora, diciamo che non è propriamente così, nel senso che i testi sono sempre stati tutti originali, a parte quelli dichiaratamente presi in prestito da autori (come i testi dialettali). La questione cut up non è stata abbandonata, semplicemente ho fatto meno uso di frasi di terzi, immagini di terzi, ecc rispetto al passato non so nemmeno perché, semplicemente è stato così e basta.

Nella maggior parte dei casi un testo, una volta che è stato scritto mantiene la stessa stesura fatto salvo per esigenze melodiche o di struttura, mi affeziono agli scritti e molte volte non si può proprio spostare una virgola perché altrimenti poi mi cambia il senso! Cioè, non sono così talebano, in realtà sono molto aperto a modifiche, ma è non è così frequente anche perché molte volte è la musica a girare attorno al testo non il contrario! Anche se, tanto per confermare la regola, per esempio in Visioni a colazione ho detto a Riccardo (chitarra) “Richi tieni questo testo e facci quel che vuoi, io non so più che farci, musicalmente non mi riesce un cazzo!”. E grazie a Dio l’ho fatto, ha scritto un arrangiamento davvero d’alto livello.

Collettivo Ginsberg: ognuno potrebbe trovarci il significato

Come nasce “Lingua di Luna”?

Armonia e testo sono nati voce e chitarra, poi una sera Gabriele (contrabbasso) lancia a tutti un suo riff alla Captain Beefheart (definito da lui proprio così) che abbiamo trasposto in tonalità e via! Poi jam, gran solo di Rhodes e coretti alla Sympathy for the devil!!! Il testo è molto ermetico, poetico a modo suo, potrei dirti parla di ma non servirebbe a nulla, ognuno potrebbe trovarci il suo significato, e questa cosa mi piace più di ogni altra!

Puoi raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?

Abbiamo registrato il disco a L’Amor Mio Non Muore di Forlì (www.lamormiononmuore.it), lo studio di incisione che Alberto Bazzoli (tastiere), io e Roberto Villa abbiamo aperto da neanche un anno. Il disco è stato registrato al 90% su un registratore a bobina Studer 8 tracce, abbiamo inciso in presa diretta tastiere, contrabbasso elettrico (Gabriele Laghi) e batteria (Eugenioprimo Saragoni), con chitarra e voce in traccia guida.

Sempre in quello studio abbiamo registrato il resto degli strumenti: chitarre elettriche (Riccardo Morandini usa una Eko), chitarra dobro (Andrea Rocchi, membro fondatore del Collettivo Ginsberg), sax e trombone (rispettivamente Roberto Villa e Marcello Detti), vibrafono (Giovanni Pistocchi, ex mebro del CG), percussioni (Marco Frattini e Gianluca Chiarucci).

Poi, una volta imbastito il tutto, abbiamo preso le tracce e lavorato le voci e i cori (Gabriele Laghi e Gaia Mattiuzzi) nello studio bolognese di Marco Bertoni. Alberto alle tastiere, in particolare, ha usato diverse cose molto interessanti a partire dal classico Fender Rhodes, passando per l’organo Farfisa e piano a muro, per arrivare a utilizzare per tutti i suoni di archi una tastiera Logan, davvero figa e interessante se si vuole avere un sono analogico che sostituisca un ensemble di archi.

Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimi di più in questo momento e perché?

Mmmm, a parte che bisognerebbe definire cosa significa indipendente. Questa è comunque la domanda peggiore, non saprei, in generale la scena indie mi fa girare i coglioni, per un sacco di motivi che non è il caso di elencare, a ogni modo c’è tanta gente brava per fortuna (perché di contrappeso ce n’è tanta – secondo me – molto sopravvalutata). Posso dirti: John De Leo, Calibro35, Il Teatro degli Orrori, Il Pan del Diavolo, C’mon Tigre, Iosonouncane, Giacomo Toni, Santo Barbaro … possono bastare?

Direi di sì.

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