Delta V, “In Fatti Ostili”: la recensione

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Confesso che avevo un po’ lasciato da parte il nuovo disco dei Delta V, come si fa con le operazioni nostalgiche: c’è talmente tanto presente musicale da ascoltare e recensire che tendi a trascurare le band che in qualche modo ti fanno pensare al passato. E’ stata Chiara Orsetti, l’altra metà di TRAKS, a segnalarmi il disco e a suggerirmi di ascoltarlo, facendomi notare che il loro nuovo lavoro, In Fatti Ostili, non ha niente di nostalgico e molto di notevole.

Ma per capire il presente e il futuro, è necessario raccontare il passato della band: Carlo Bertotti e Flavio Ferri si conoscono al liceo linguistico, negli anni ’80. Da allora iniziano a collaborare su diversi progetti musicali dando infine vita ai Delta V, che proprio quest’anno festeggiano i 30 anni di vita; è infatti nel 1995 che firmano il primo contratto discografico.

Debuttano nel 1998 con l’album Spazio, che ottiene grande successo e vince il Premio Ciampi come Miglior debutto discografico. L’album contiene un singolo, Se telefonando, che porta i Delta V in heavy rotation. Segue l’album Psychobeat (1999), che vede l’arrivo della nuova cantante Lu Heredia al posto di Francesca Touré.  

Due anni dopo ecco l’album Monaco 74 (2001), con un ulteriore cambiamento nella formazione; Georgeanne “Gi” Kalweit è la nuova voce del gruppo. Nel 2004 la band pubblica un nuovo album di studio, Le cose cambiano, anticipato dalla cover di Lucio Battisti Prendila così. L’anno successivo esce Collection, un’antologia che raccoglie anche tutti i videoclip del gruppo, a testimonianza dell’importanza che i Delta V hanno sempre dato al racconto per immagini delle proprie canzoni. 

Il 2006 è l’anno di un nuovo album, Pioggia Rosso Acciaio, al quale fa seguito un nuovo tour, finito il quale, dal 2008, il gruppo si prende un lungo periodo di pausa. Dopo dieci anni, in occasione della ricorrenza del 25 aprile, i Delta V tornano a lavorare insieme per la realizzazione di un minidocumentario sulla guerra civile e la resistenza intitolato Gli Ultimi diretto dal regista Lorenzo D’Orazio, firmandone la colonna sonora. 

Nei mesi successivi viene pubblicato L’inverno e le nuvole, un inedito che segna l’inizio di una nuova fase discografica e che vede l’ingresso in formazione di Marti, la nuova cantante. Dopo l’uscita della canzone San Babila Ore 20, i Delta V tornano nel 2019 con l’album Heimat. Il disco segna l’inizio di una nuova stagione con un impianto differente rispetto ai primi lavori: l’esigenza diventa il racconto della contemporaneità e un approccio meno marcato alla musicalità radiofonica che aveva caratterizzato i primi lavori del gruppo. Il tour successivo all’uscita dell’album viene interrotto a causa dello scoppio della pandemia Covid 19. 

Alla fine del 2024 i Delta V rientrano in studio dopo un lungo periodo dedicato alla produzione di nuovo materiale: scrivere canzoni diventa sempre più un’opportunità di raccontare storie, evocare immagini e descrivere il quotidiano. I nuovi pezzi vengono prodotti da Roberto Vernetti e Paolo Gozzetti che tra gli altri hanno collaborato con Patty Pravo, Elisa, Malika Ayane, Casino Royale, Pacifico, Human League.

Delta V traccia per traccia

Schiena dritta testa alta/probabilmente Dio si aspettava troppo da me“: questioni di autostima e di aspettative animano Essere migliori, un flusso di coscienza che acquista ritmo e passo mentre racconta una vita quotidiana non soddisfacente, pennellata dopo pennellata. “Quell’illusione di sentirsi parte di qualcosa/e non accorgersi che tutto resta uguale“: il brano si allunga senza lasciare però tregua a chi ascolta, per quanto le sonorità siano gentili e non soffocanti.

C’è una metropoli onnicomprensiva, anche e soprattutto in senso angosciante, in Regole a Milano: “Cercare l’amore/trovare un film porno” è uno degli scartamenti di senso più significativi in una canzone che corre (quanto la città), mentre ti spiega “Che qui la socialità è un esercizio di stile“, mentre insegui gli eventi a Isola o in via Tortona. Seguono le regole in stile Fight Club, qui dove anche lo yoga mette ansia e dove l’unica cosa sincera è il grigio del cielo di ottobre.

Un beat regolare ma non continuo guida La disciplina del nulla, che racconta centri commerciali in cui arrendersi, fra promesse da mantenere e ombre da incendiare. Non è rettilineo il filo logico della canzone, che anzi finisce per essere un climax cinetico ed emozionale, frammentato ma organico.

Wendy fa riferimenti cinematografici, a cominciare dal titolo e dalla protagonista di Shining, fino a Pat Garrett e Billy the Kid e al riscatto finale di Darth Fener. Mentre le stelle esplodono e muoiono, indifferenti alle nostre piccole vicende, ci scopriamo simili “agli studenti che siamo stati“, in un tunnel di riferimenti pop che sono molto sostanziali e che ci tengono legati alle nostre nostalgie.

Non c’è niente da dimostrare in una piuttosto oscura Storti, con le sonorità che si muovono in un sottobosco fatto di ombre e risonanze, prima che il pezzo prenda una direzione più netta. Questioni di fede, di scienza, di coscienza, di fronte a una inderogabilità fatale: “Se siamo storti non ci possono aggiustare/se siamo morti non possiamo ritornare“. C’è una certa desolazione anche sonora in Panico, che si popola di immagini forse uscite dai sogni, e di domande: formiche, angeli, semafori, da riconoscere come in una sorta di Captcha esistenziale.

Ecco poi il singolo Nazisti dell’Illinois: la citazione da The Blues Brothers è poco ironica, così come l’invito a sparare al dj, che fa pensare invece agli Smiths (che però il dj lo volevano impiccare). Anche qui si fanno i conti con il passato, mentre non ci si accontenta e si bruciano le classifiche, in un brano che si fa vertiginoso e insegue tutte le proprie vibrazioni.

Una corsa anima e dà inizio anche a Provincia meccanica, che riversa le proprie energie in un vortice di immagini. Il testo è coniugato al passato e si popola di concetti che scorrono accanto, mentre la corsa alla fine è l’unico fatto che sembri avere un senso. E dopo la provincia, ecco che torna Milano in San Babila ore 20(25), classico della band più volte riletto e ripensato, che qui si fa caldo e avvolgente grazie alla vocalità della cantante, ma senza nascondere le proprie tensioni.

Questioni di cosmonauti quelle che aprono Laika e l’America, in uno sguardo da lontano: “Da quest’orbita io osservo il mondo/che si lascia cadere“. Si inseguono le scie nei cieli verso Oriente, e si esprime il desiderio di vivere e volare ancora. Il disco si chiude con I raggi B, strumentale che fa riferimento al monologo finale di Blade Runner, e che per aggiungere ancora un po’ di materiale artistico ospita niente meno che qualche nota di chitarra di Steve Hackett, leggendario chitarrista dei Genesis.

Marti fuma solitaria sulla copertina dell’album dei Delta V e ci osserva. Del resto, questo è un disco che contiene solitudini, osservazioni e probabilmente più di una sigaretta. Ho definito “flusso di coscienza” la prima canzone dell’album, Essere migliori, ma è abbastanza evidente che tutto il lavoro in effetti sia principalmente questo.

Sono troppe le idee, le immagini, le considerazioni che sgomitano per affollarsi nei brani di questo disco, tutte accomunate però da un senso di desolazione malinconica, non disperata ma spesso rassegnata. La malinconia ha sempre fatto parte della cifra stilistica della band, che non a caso quando è andata a scegliere le cover da reinterpretare ha sempre pescato tra i brani più tristi, oltre che più indimenticabili, della musica italiana.

Ma è la freschezza compositiva e la ricchezza di sfumature del disco che colpiscono e lasciano spesso senza fiato. E’ come se i Delta V ci dicessero che questo mondo è oggettivamente senza speranza, ma che vale comunque la pena di raccontarlo e di renderne un’idea molto dettagliata, perché così forse ne sarà valsa la pena. Chissà se hanno ragione.

Genere musicale: synth pop

Se ti piacciono i Delta V ascolta anche: Subsonica

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