demeb

Demeb è un duo jazzcore che pubblica Rebubblica, il proprio nuovo disco da sei tracce (reperibile al sito demeb.org e contattando loa band all’indirizzo floppy@demeb.org). Già noti da queste parti per un’intervista che avevamo fatto loro qualche tempo fa, dopo l’uscita del precedente Urban Flowers (leggi qui), il duo marchigiano si conferma balordo e ironico quanto prima. Li abbiamo intervistati (di nuovo) per parlare del loro nuovo lavoro.

Come nasce il nuovo disco e quali differenze ci sono state nelle lavorazioni rispetto a “Urban Flowers”?
Il disco nasce dalla solita storia del Concept (che ci è tanto cara) poi componi qua, taglia di là è uscito fuori che da “lp” si è trasformato in “ep”. Poi se vai a sentire, la differenza sta nella nostra presunta crescita e in una migliore tecnologia a disposizione (tra strumenti e tutto il resto del network).

Quali sono state le difficoltà maggiori che avete incontrato nel realizzare il disco, se ci sono state?
Difficoltà grosse neanche tante a parte i soliti sbrocchi da 6° o 7° ora di lavoro; poi sai, la Moretti aiuta a superare anche le giornate più uggiose!

Come nasce “Il Rap Jazzcore dell’anarchico Pinelli”?
Eh, qua la storia si fa da 18+, ma possiamo dire che il babbo è come l’Ape che si posa sul Fiore che è la mamma e così nasce “Il Rap Jazzcore dell’Anarchico Pinelli”.

Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
Allora, per il basso un Fender JazzBass con qualche effetto ululà e ululì, la tromba tutta argentata (per uccidere i Lupi Mannari) anche con la sordina che però è bronzea, l’ampli un Trace Elliot di nome Billy, i Bonghi, la Batteria è una Catalina Jazz Club della Gretsch (o come cazzo si scrive), Piatti Paiste 2002 e un Campionatore AKAI per il RapJazzcoreYO… poi basta, credo…

Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
Boh, si, in primis Mauro Mariotti che è pure amico, poi anche altri amici tipo i Lightpole, i Little Pieces of Marmelade, i Meatball Explosion poi boh davvero… il perché è “perché NO?!”

Potete indicare tre brani, italiani o stranieri, che vi hanno influenzato particolarmente?
Per me che picchio le pelli uno su tutti è “Ho Fatto la Cacca” di Mauro Pelosi (più per il testo in realtà anche se la musica spacca e non poco) poi cito “5/4 Gateway” di Don Ellis e la mitica “The Revolution Will Not Be Televised” di Gil Scott-Heron; per me che slamo le corde c’è “Bestie di Cuoio” degli Splatterpink, poi anche “Tommy the Cat” dei Primus e l’iridata “Oh! Battagliero” dei CCCP Fedeli alla Linea.

Demeb traccia per traccia

Copertina RebubblicaIl disco si apre con Viva VERDI, un patchwork introduttivo ad alta volubilità tra voci virate, chitarre svisate e fantasie varie. Non che si cambi troppo con Il rapimento di Fabrizio Frizzi: il Frizzolone nazionale è celebrato da slappate di basso, drumming esagerato, avallamenti momentanei e ripartenze furibonde. La scelta del mathcore è in qualche modo temperata dall’humour nero della band, che esplode in modo anche più clamoroso in Mamma RAI.

Si fa un salto fuori genere con Il Rap Jazzcore dell’anarchico Pinelli, ballata jazz un po’ sgangherata che ribadisce l’anarchismo della band, sia dal punto di vista musicale sia dal punto di vista ideologico. My Name Was Tanino (of Your Love) parte da un calco di Sunshine of your love che si trasforma in una sarabanda esacerbata e roboante.

Si chiude con una rapida Italia Error 404, che conferma spirito punk e spunti math della band, capace di erigere mura di suono importanti ma anche di infrangerle in modo rapido. Pur con qualche sbavatura e con l’atteggiamento impro che domina su tutto, c’è molta forza in alcuni dei pezzi dei Demeb.

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