Santa Tenerezza è il nono album in studio di Dente, che include i singoli Senza di me e Favola e altre otto tracce inedite. Un album che supera appena la mezz’ora ma che aggiunge nuove dimensioni, soprattutto sonore, alla poetica del cantautore di Fidenza.
Dopo la militanza come chitarrista in formazioni rock/new wave, nel 2006 inizia la sua esperienza solista con Anice in Bocca, un disco che contribuisce a definire la via italiana al pop lo-fi, la cui poetica viene portata a compimento nei dischi successivi, riconosciuti cult della nuova canzone italiana anni 2000: Non c’è due senza te, L’amore non è bello, Io tra di noi, che comincia l’esplorazione di Dente verso dimensioni sonore sempre meno connotate dall’estetica lo-fi e sempre più improntate a un cantautorato classico e consapevole.
Anche la scrittura, inizialmente destrutturata, evolve progressivamente verso ricercatezza ed essenzialità, senza mai perdere la riconoscibile giocosità del linguaggio che ha consacrato lo stile di Dente. È il percorso dei dischi Almanacco del giorno prima, Canzoni per metà e Dente. Del 2015, invece, è l’esordio letterario di Dente: Favole per bambini molto stanchi, edito da Bompiani. Nel 2023, torna sulle scene con un disco prodotto da Federico Nardelli: Hotel Souvenir, un posto speciale dove il passato e il futuro dormono in camere doppie.
Dente traccia per traccia
Questioni di distrazione e di dimagrimento nella molto orchestrale Senza di me, che apre il disco con fare favolistico, grazie al lavoro intenso degli archi. “Mi viene quasi da ridere/ma piango“: c’è contrasto fra un umore dei suoni abbastanza aereo e la sostanza del brano che è molto malinconica.
A proposito di Favola: un bel ritmo da cantautore pop, con un retrogusto anni ’80, con il sax e con una ricerca in atto, per un pezzo che fa pensare a Lucio Dalla e a un mondo musicale che forse non c’è più, ma forse invece sì. Dente spiega il proprio talento a 360° in un pezzo apparentemente semplice.
C’è un discorso di cattiveria e di abbracci di vendetta in Corso Buenos Aires, boulevard milanese (ma in realtà anche ce n’è uno anche a Genova), lungo il quale si distendono le prime vere tristezze di questo album. Lei se ne frega e lui si fa del male con i ricordi, anche e soprattutto quelli geolocalizzati.
Un po’ del secondo Battisti, quello post Mogol, filtra nei suoni e nelle particolarità di M’annegasti, che ha ritmi sostenuti, di nuovo il sax, un ottimo groove. E per essere una canzone di Dente, fa molto più casino della media.
Si torna a più miti consigli con Hey, singolo che accompagna l’uscita dell’album, che riporta la calma e la malinconia: lui pensava di non cascarci più, e invece ci ricasca. E ripensa a quanto è stato scemo a lasciarla andare via. L’ondata di rimpianti porta via un po’ tutto e quel “a casa mia domani è sempre domenica” (a me) fa pensare a Everyday is like Sunday di morrisseyana memoria. Inteso che la domenica è un giorno che fa mediamente schifo.
I contrasti tra suoni moderatamente felici e un testo che invece non è felice per niente si riaffacciano in Non ci pensiamo più, nuovamente ricca di rimpianti e anche della paura di essere dimenticati per sempre, dopo che è arrivato un nuovo amore e che ha smesso di farsi sentire il dolore.
Problemi di insonnia e di incomprensione in Andiamo via: c’è qualcuno con la lei che non divide più il letto, e non ci sono spiegazioni da cercare. “Quando non c’è più nessuno a cui dire ti amo/non c’è più nessuno a cui dire andiamo via“: qui la sofferenza è molto palpabile e per certi versi ricercata consapevolmente.
Le Benzodiazepine aiutano a superare la vita catastrofica, che non si srotola mai. Questa canzone invece si srotola facilmente, con un passo cadenzato e qualche gioco di parole che aiuta: “Io faccio la spesa e tu la sposa“, con promesse di fuochi d’artificio nelle cabine telefoniche. Ma è una vita più desiderata che reale: “Basterebbe così poco: che tu non fossi una stronza e io un idiota“.
Sul Lungomare si susseguono molte persone e molte immagini, mentre la coppia del brano si tiene per la mano a celebrare un amore invisibile. Un po’ di chitarra e ancora gli archi sostengono una serie di tristezze gentili.
C’è Emma Nolde per l’unico featuring del disco, che arriva all’ultimo brano del disco, La città ci manda a letto: la notte mette di fronte a scenari diversi, ma la costante è la voglia di non dormire più e di non tornare più, senza che ci sia un motivo esplicito.
Non è Calcutta e non è Brunori. Non ha lo struggimento di Vasco Brondi e probabilmente non lo vedrai a Sanremo, trionfante come Lucio Corsi o smaliziato come Colapesce e Dimartino. Ma Dente non è certo il meno importante della sua generazione dei cantautori. Anzi.
Qui Dente allarga un po’ i suoni ma permane nelle caratteristiche ben note della sua scrittura, sempre agile, sempre snella e sempre capace di toccare il cuore apparentemente senza fatica né sforzi. Qui le sonorità si fanno più stratificate, soprattutto in qualche brano, ma non incidono sulla fluidità e sul movimento armonico.
Il terzo album di solito è quello della maturità. E il nono come si colloca su questa scala? Boh. Se c’è una scala, Dente la percorre dall’alto al basso e viceversa con disinvoltura totale, giocando con i riferimenti, con i suoni, con i rimpianti e con le tristezze come fosse a casa sua. E di converso nelle sue canzoni ci fa sentire come fossimo a casa nostra.
Genere musicale: cantautore
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