Roberta Arena assume l’alias Diana e confeziona nove canzoni elettroniche e lunari, per mezzo delle quali pubblica And You Can’t Build The Night.
“Diana nasce nel 2015 in una sera di novembre quando finalmente decisi di portare alla luce i miei pezzi, composti negli anni e riposti gelosamente nella mia mente e sul mio pc. L’esigenza di esprimerli era diventata più forte di quella di nasconderli… Diana nasce con una canzone, “And you can’t build the night”, quella notte, d’improvviso Lei si svegliò… (Roberta Arena).
Diana traccia per traccia
Su atmosfere algide ed elettroniche prende il volo un’eterea Lost, che apre il disco su ritmi moderati e sulle parole delle Metamorfosi di Ovidio, recitate in background.
C’è una voglia più morbida che anima Ottanta, cantata in inglese a dispetto del titolo, un allunaggio morbido e a rimbalzi progressivi, che si nasconde sotto i veli del synth pop.
Invece si canta in italiano la Nostalgia di Saturno, in un pezzo a ritmi sincopati ma incalzanti: il pianeta, ma anche il dio Saturno, portatore di un’età dell’oro smarrita, presiedono a una canzone dolce e lievemente malinconica.
He was angry torna all’inglese per quella che è definita “una storia alla Suzanne Vega”, quindi con un po’ di dolore dentro. Feel You invece procede più levigata e fluida, anche se la chitarra dardeggia in modo appassionato.
L’atmosfera si fa molto più rarefatta con Se l’amore non è un astronave, altra fuga verso l’alto elettronica. Più terrena (ma non meno sintetica) Life is Bad, pessimista senza mezze misure e con un po’ di new wave nel dna.
Ondate di malinconia caratterizzano una sorprendentemente acustica And You Can’t Build The Night, la title track.
Il disco chiude i battenti su Festival, non molto festivaliera né festosa, anzi abbastanza plumbea e influenzata dai venti del Nord Europa.
Diana pubblica un disco molto omogeneo e mostra di aver capito come giocare con le sonorità senza perdere di vista mai il centro della questione e della canzone.