A Bad Day è il progetto di musica strumentale che vede attualmente partecipi Egle Sommacal e Sara Ardizzoni, in una combo che prende il nome di Flawed. Chitarristi di formazione non accademica entrambi, abbiamo varie esperienze musicali alle spalle e un comune interesse verso ambiti sonori non necessariamente associati alla chitarra elettrica, territori che hanno cercato di esplorare anche sfruttando le possibilità timbriche offerte dall’uso dell’effettistica.
“Flawed”, imperfetto, è il titolo della raccolta dei nostri brani. Misurarsi con l’imperfezione, giocare con i nostri limiti, anche nei mezzi a disposizione, è il modus operandi che ci accompagna dall’inizio dei nostri percorsi artistici e da sempre è stato un importante stimolo creativo. Non è nostra intenzione dotare le tracce di un significato ultimo, sono semplicemente dei suoni disposti nel tempo su qualcosa che convenzionalmente chiamiamo silenzio, niente di più, niente di meno. Inevitabilmente questi suoni comunicano anche il nostro rapporto con la contemporaneità, una reazione emotiva, una sensazione, imperfetta, “flawed”. Il disco è autoprodotto, ci siamo giusto inventati, un po’ per divertimento, il nome di una fantomatica etichetta. Al momento non siamo supportati da agenzie né intendiamo caricare i brani su alcune note piattaforme di streaming. Le ragioni di questo approccio non sono da attribuire a una nostra presunta “purezza” ma molto più pragmaticamente alla consapevolezza che strategie pensate per un ampio mercato di consumo potrebbero non essere efficaci per progetti destinati a una fruizione più limitata
Flawed traccia per traccia
L’apertura del disco è affidata a not in the light, not in the darkness: uno spazio mediano che si apre gradualmente di fronte ai nostri occhi (e alle nostre orecchie) per farci inoltrare in una serie di vibrazioni e rintocchi piccoli ma rilevanti.
Le vibrazioni proseguono con what they sing, che però si muove in un ambiente quasi naturalistico, come a esplorare un sottobosco. Ed è un sottobosco da esplorare con calma, quasi con cautela, trattenendo il respiro e seguendo le piccole luci pulsanti.
Apertura suggestiva per underminer of conventional truth, che però si fa subito cupa, trascinando il passo, come di fronte a condanne inevitabili. Molto più viva, ma anche molto inquieta, my world is disappearing, sorta di allarme per un mondo che si inabissa sotto i nostri occhi, mentre la chitarra si occupa di cesellare in modo incessante.
Ambienti leggermente più sereni sono quelli che accolgono in death of a drum, plastica e leggermente appiccicosa, ma senza perdere nulla in termini di leggerezza.
Soffia un vento potente all’interno di waves becomes clouds, come se una tempesta minacciasse da vicino, e rischiasse di essere particolarmente disastrosa. Ma invece a sorpresa il vento si placa e così il brano, finendo in dolcezza un percorso che sembrava avere tutt’altre premesse.
Si procede con the usual dance, che non è poi così “usual” e che si muove secondo una struttura che lavora a più livelli sonori, contribuendo a un universo piuttosto trasognato, popolato di “cori” e ritmato da una cadenza regolare e insistita.
Timanfaya si apre con un fiato antico e inquieto, che si muove sui bassi e che sposta sensazioni e suoni, provocando contrasti e anche dissonanze. Glitch e loop operano a livello costruttivo in non sono di qui, unico titolo in italiano (che in un disco strumentale conta il giusto, ma comunque cattura l’occhio): c’è un senso di spaesamento attivo e continuo all’interno del brano. Di ricerca di una direzione, finché non ci si perde.
A chiudere, ecco bend, composta di suoni taglienti. Ma il brano vive momenti diversi, componendo un’evoluzione e una trasformazione che si materializza un suono per volta, con una tranquillità ricca di sostanza. Ultimo episodio del disco è però little plastic idols, composta in modo da generare gentilezza e anche un vago senso di festa.
Il progetto di Egle Sommacal e di Sara Ardizzoni nasce sulla base degli istinti che i due musicisti hanno sviluppato nelle rispettive (e molto illustri) carriere, ma prende forma e struttura esplorando a fondo le risorse offerte dagli effetti. Che però non sono mai usati in modo fine a se stesso, ma cercando di costruire un’idea complessiva e una logica.
Anche quando si tratta di una logica con qualche glitch, anche quando è un’estetica “Flawed“, un po’ fallata, con qualche bolla e qualche scheggia. Il che rende tutto molto più credibile, vero e vivo.
Genere musicale: strumentale, ambient
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