In occasione della 72esima edizione del Festival, Fulvio Effe ha presentato in anteprima il suo nuovo brano Jimmy a Casa Sanremo. Una ballad malinconica, intensa, figlia di un dialogo interiore, che vede la luce dopo la pubblicazione del primo album solista dell’artista, Punto, pubblicato nel 2020. Proprio al tavolo di un bar vicino al Teatro Ariston abbiamo incontrato il cantautore alessandrino, per un caffè e quattro chiacchiere sul brano, il Festival e le speranze musicali per i prossimi mesi.
Siamo qui in quel di Sanremo per Jimmy, il tuo nuovo singolo. La scelta dell’immagine della copertina è davvero significativa, così come l’atmosfera che hai creato nel video, quella di un dialogo e di uno scambio molto intimo, tra sé e sé…
Jimmy nasce da un pensiero rivolto a mio padre: è stato una figura estremamente importante nella mia vita, è mancato ormai quasi quattro anni fa e quindi ritorna sempre un po’ nelle canzoni. Mentre il brano si sviluppa, però, mi sono reso conto che in realtà la sensazione di “non risolto” è qualcosa che ha a che vedere con me. Come spesso accade quando manca una figura come quella di un genitore, che è ovviamente estremamente fondamentale, scopri di avere qualcosa di non risolto probabilmente con te stesso.
Se non riesci a trovare il giusto equilibrio è perché c’è ancora del lavoro da fare e il brano racconta proprio questo: una mia lotta interna che ho con il mio io, che definisco “il mio Io bambino”, perché è quello piccolino, proprio il bambino sincero, quello senza peli sulla lingua, quello che fa le cose solo per il piacere di farle… che si va a scontrare con quello adulto, quello delle responsabilità, del lavoro, di essere razionale, di essere sempre un po’ impostato, un po’ serio. Siccome io sono stato fin da bambino molto eccentrico, molto fantasioso, nella fase adulta questa cosa qua comincia a un po’ a pesare. Jimmy racconta questa mia ricerca di un punto d’incontro tra queste due dimensioni.
E chi vince di solito tra queste?
Io tifo per Jimmy. Poi, spesso, vince l’adulto, quindi vince l’immagine del momento, però quello che sto facendo è lavorare per far vincere Jimmy, sicuramente.
Siamo a Sanremo, tocca parlare di Festival: cosa pensi di quello che sta andando in scena?
Gli ultimi Festival di Amadeus secondo me sono di altissimo livello. Una cosa che io apprezzo molto è la varietà degli artisti, perché comunque è riuscito a strizzare un occhio ai giovani e ai meno giovani, alle canzoni più radiofoniche e a quelle più impegnate. C’è molta scelta, è bello perché è vario, i brani in gara alcuni secondo me sono molto belli, e credo che, salvo ultimi colpi di scena finali, Mahmood e Blanco abbiano la vittoria in tasca, anche se Elisa in campo internazionale potrebbe dare qualcosina in più, visto che si va all’Eurovision. Poi sai, non mi piace criticare solo per il gusto di farlo. Essere su quel palco è talmente bello che funziona, e già è una soddisfazione enorme.
Quest’anno a Sanremo ho notato che ci sono molte meno occasioni di esibirsi live, di fare interviste, come invece accadeva fino al 2020. Mancano le radio dentro ai negozi, i locali pieni di artisti pronti a suonare. Come vivi da artista questo blocco?
Guarda, ieri sera sono andato a cena con un amico che vive ed è autore qui a Sanremo, che ho conosciuto nel lontano 2007, quindi sono passati ormai quindici anni, e abbiamo parlato proprio della difficoltà rispetto a un po’ di anni fa nel fare qualcosa, perché è tutto molto bloccato. Una volta c’era Sanremo Off, c’era Rock in the Casbah, c’erano tantissimi eventi collaterali, le varie notti bianche. Il Festival c’era ovviamente, ma il fuoco c’entrale era nelle varie piazzette, come piazza Colombo. Gli artisti che girano sono veramente tanti anche quest’anno, ma ora tolto il Mamely e qualche altro pub in zona praticamente non c’è niente di organizzato. Sicuramente è un peccato perché è la settimana in cui Sanremo diventa davvero la città della musica: i controlli ci sono dappertutto, la gente è in giro e le opportunità ci sarebbero state, volendo. Forse il timore è quello di rischiare troppo creando aggregazione, e quindi ci concentra sul Festival e il resto si tiene in piedi solo se non ci sono troppi rischi.
A tal proposito, ieri sera sul palco sia La Rappresentante di Lista sia i Pinguini Tattici Nucleari, che però erano con Orietta Berti in mezzo al mare, hanno finalmente aperto la discussione sul tornare a fare live come si deve. Bene tener vivo il Festival, ma la musica è anche e soprattutto quella dei piccoli locali, dei live, della possibilità di tutti di esibirsi. Come hai vissuto questo periodo di stop forzato dai live?
Con la sfiga delle sfighe addosso: ho pubblicato il mio disco a settembre 2020, ho avuto giusto il tempo di fare il concerto di presentazione e dopo un mese era di nuovo tutto chiuso. Avevo qualche data in programma, niente di spettacolare, ma erano le mie piccole date di promozione, ed è stato veramente difficile, e continua a esserlo. Vedi, quelli che sono già conosciuti, che sono nello star system, quelli che hanno già un pubblico possono in qualche modo lavorare solo di online, di streaming, di video e quant’altro… Per chi ovviamente deve lottare, farsi strada, farsi conoscere, non avere la parte live è veramente una cosa difficoltosa. Io credo che dovremmo, secondo me, avere un po’ il coraggio di tornare a vivere. Non vivere è come morire, riprovarci è fondamentale, la musica è live, punto. Poi Sanremo insegna: sta andando avanti, la città è piena, con i controlli, i vaccini, i tamponi, tutto quello che occorre.
Quali sono i tuoi progetti appena riapriranno davvero le porte?
Sicuramente cercare di riorganizzare degli eventi di musica dal vivo, sia per il mio disco vecchio che per i brani nuovi che sto facendo. La speranza è quella di tornare al più presto su un palco perché personalmente quando non mi esibisco non trasmetto. Chi canta, chi scrive, ha bisogno di trasmettere, ha dentro qualcosa e lo deve dire, per necessità e, ovviamente farlo dal vivo è il modo più diretto. Non basta mettere un video o una foto, scrivere il tuo pensiero: per un musicista la parte live è fondamentale. Insomma, non vedo l’ora.
Quindi bolle in pentola anche qualche nuovo brano e un disco nuovo?
Sì, nuovi brani sono pronti e c’era già l’intenzione di far uscire il disco nel 2022. Adesso, onestamente, sto valutando un po’ come sarà la situazione chiusure, perché non vorrei replicare l’esperienza dello scorso album. Peraltro l’uscita di Punto era stata programmata ben dopo 8 anni in cui non avevo più pubblicato musica mia, quindi vorrei davvero non veder fermato il progetto
Forse meglio aspettare la primavera, e magari il prossimo anno ci ritroveremo con tutt’altra atmosfera.
Non sarebbe male. Vediamo quello che accadrà.
Anche se abbiamo sforato i cinque minuti come spesso accade quando ci si incontra di persona, di solito l’ultima domanda delle mie interviste non prevede una risposta ma… una playlist. C’è qualche brano che ti ha ispirato particolarmente, che senti legato a Jimmy e ai tuoi nuovi brani che vuoi consigliarci o che semplicemente ha contribuito a renderti l’artista che sei oggi?
Ho dei brani a cui sono legato che hanno sancito il mio percorso, la mia nascita musicale. Io ho iniziato a suonare un po’ tardi: di solito i musicisti e i cantanti iniziano già a 7 o 8 anni un percorso di avvicinamento alla musica. Io inizio a 16 anni, un momento particolare della mia vita, l’adolescenza è sempre strana, ed è lì che ho scoperto una cassetta di mia madre dove dentro c’era Born to run di Bruce Springsteen, un brano che mi ha veramente svoltato il modo di pensare. Nato per correre, qualcosa di meraviglioso. Cito anche La sera dei miracoli di Lucio Dalla che è un artista che adoro, e un altro pezzo del Boss, Jungleland perché è un altro pezzo che mi ha molto segnato. Non può mancare Ho imparato a sognare dei Negrita che è una canzone che da ragazzino ho consumato da quanto l’ho ascoltata, e concludo con Quello che non c’è degli Afterhours.
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