Ha fatto The Voice (ed è arrivato secondo), e questo non depone particolarmente a suo favore. Ma adesso non è che si debba inchiodare Giacomo Voli e la sua band a una partecipazione a un talent: il suo esordio, per lo più rock con qualche inclinazione verso il pop, è un ep da sei brani, di cui due cover, che si intitola Ancora nell’ombra.
Con alle spalle cover band di Queen, Deep Purple e Van Halen (il che spiega molto di quanto segue) Giacomo Voli si è fatto accompagnare dalle batterie di Demis Castellari, dal basso di Federico Festa, dalla chitarra di Riccardo Bacchi e dalle tastiere di Mattia Rubizzi Il Master finale è stato eseguito al D-Show studio di Giovanni Pigino a Baganzola di Parma da Mattia Rubizzi con il supporto di tutta la band.
Giacomo Voli traccia per traccia
Si parte duri e massicci con Il vento canterà, canto di rivolta in forma di hard rock, che mette in mostra la vocalità di Voli. Si rimane su piste simili, ma con qualche spruzzata di modernità e di elettronica in più, ne La Fenice. Rock accelerato (con urletti) per Un Capitale, brano di impronta piuttosto vecchio stile.
Si passa a Ridi nel tuo caffè, che rinuncia ai ritmi e all’aggressività furibonda dei primi tre pezzi abbracciando un discorso molto più pop-rock, con pianoforte, cori e senza virtuosismi.
Arrivano poi le due cover: troppa enfasi in quella di Impressioni di settembre, con gorgheggi evitabilissimi e una vocalità tipo Ian Gillan non adatta a un pezzo che nasce misurato e che guadagna forza dalle sfumature (si chiama “Impressioni di settembre” non “Urla di settembre”, per capirsi). Migliore il risultato con Can’t Find My Way Home, grande classico di Steve Winwood eseguito in modo tutto sommato adatto e moderato.
Qual è il problema principale dei talent? Non le liti televisive, non l’enfasi sull’immagine, non lo spacciare per grandi esperti personaggi che di musica capiscono quanto io ne capisco di squash, ma l’omologazione: cantano per lo più tutti allo stesso modo, con le stesse mossette, gli stessi gorgheggi. Non è questo un problema di Giacomo Voli, che non è vittima di omologazione e ha trovato una propria strada e una propria personalità.
C’è però un altro lato del problema: i cantanti (perché di cantanti si parla, raramente ne escono strumentisti) che partecipano ai talent sono anche del tutto convinti (oppure se non sono convinti, li convincono) che più si gorgheggia, più si sale in alto con la voce, più si strilla, più ci si mette in mostra e più si è bravi. A parere nostro non funziona proprio così: meglio cercare un discorso più organico, in cui la voce è uno strumento da integrare con gli altri. Giacomo Voli dichiara di essere ancora alla ricerca della propria strada: non è tardi per correggere questo tipo di propensione.
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