Caos è il secondo album del trio pugliese Giunto di Cardano. Un disco intenso, sincero, l’anima di una band che vuole mettersi a nudo ed entrare in intimità con l’ascoltatore, tredici canzoni che attraverso suoni e parole propongono una soluzione al disordine interiore.
“La realtà come perpetuo movimento vitale, eterno divenire, dove resta costante la percezione di una mancanza. Cambiano le persone, cambiano i contesti, e soprattutto cambiano i rapporti. Da qui il senso di assenza, legata alla fine di un legame, alla fine di un amore, alla perdita di una persona molto cara. Sensazioni da cui evadere attraverso la follia, il fuggire lontano, il vivere intensamente il presente e il proiettarsi di gran fretta nel futuro. Ma più l’uomo corre per sfuggire i propri demoni, più va loro incontro.”
Il Giunto di Cardano traccia per traccia
Si parte da trentatré secondi “vocali” di Amnesia. Ma ben presto ci si ricorda com’è fatto il rock, grazie a ritmi e intensità di Dandy, un tentativo di odio in tempi e modalità aggressive e furenti.
Con Chiedimi in fondo si passa ad atmosfere sempre piuttosto elettriche ma molto più tranquille e con tratti oscuri. C’è il pianoforte su Navigli, che assomiglia a una ballad, che poi cresce e acquista in termini di drumming, con finale elettrico e psichedelico.
Ci sono tasti bianchi e neri anche nell’apertura di Drama, che però fa della teatralità la propria cifra.
Si viaggia in oscuro con Non Esisto, pezzo che esplora le profondità e si riconnette direttamente con il rock alternativo anni ’90.
Apre invece in elettronico Blue, che sfarfalla in modo cromatico per qualche minuto. Ma è tempo di tornare all’elettrico, e si passa così dal Ritratto del dottor Gachet, che ripresenta la faccia aggressiva della band.
Si rientra nel tunnel con Paz!, (ennesimo) brano dedicato ad Andrea Pazienza, qui declinato in modi vicini alla dark wave.
C’è bisogno di calmarsi un po’, ecco quindi Non c’è niente come noi, che però presto allude a decolli pischedelici e accelerazioni aspre.
Si viaggia in semiacustico con Undici, che alza lo sguardo e si ramifica su un discorso elettrico ma delicato.
Questione di meccanica mescola un drumming quasi marziale e delle volute cosmiche molto libertarie e piuttosto fantascientifiche. Con dei fiati un po’ cartooneschi.
Si chiude su tutte le dolcezze di Induzione, sfumata e allargata, quasi sinfonica uscita dall’album.
La batteria, la chitarra, il synth eccetera: Il Giunto di Cardano mette insieme i pezzi, salta i generi, affolla il disco di idee ma riesce sempre a trovare il bandolo della matassa. Un disco maturo ma anche immaturo dove serve, perché di un certo sapore acerbo si può anche godere.