Esce oggi I Hate My Village, esordio omonimo del supergruppo costituito da Fabio Rondanini alla batteria (Calibro 35, Afterhours) e Adriano Viterbini alla chitarra (Bud Spencer Blues Explosion e molti altri) accomunati dalla passione per la musica africana, e vede la partecipazione di Alberto Ferrari (Verdena) e la produzione di Marco Fasolo (Jennifer Gentle)

Jam dopo jam prendono forma nove tracce in cui melodie e ritmi dalla Madre Africa si fondono con timbriche occidentali. Questo risultato si amplifica ulteriormente grazie al contributo di uno dei personaggi chiave del rock nostrano dagli anni ’90: Ferrari si inserisce con la sua vocalità donando all’amalgama strumentale un ulteriore elemento capace di unire mondi.

I Hate My Village traccia per traccia

Si apre con il già noto singolo Tony Hawk of Ghana,

Il primo strumentale, “trascinato”, si direbbe, a livello di suoni e rumori, è un intenso Presentiment, costruito in modo piuttosto ansiogeno.

Acquaragia, altro singolo, aggiunge qualche pizzico di math e qualche ritmo quasi tropical.

L’intermezzo Location 8 ha suoni tipo western sotto acidi, e lascia presto spazio a Tramp, che schitarra di partenza e poi prosegue le schermaglie su ritmi regolari e cadenzati.

Si prosegue con Fare un fuoco, altro pezzo con titolo italiano, testo inglese e un cuore che batte impazzito, tra ritmiche convulse e visioni d’Africa.

Molto più evocativa e statica Fame, che danza piano in ambienti notturni e si riempie di sensazioni, un po’ alla volta, come alla vista di un rito pellerossa intorno al fuoco.

Il livello di intensità rimane alto con la chitarra di Bahum, per un pezzo che parte con molta flemma e che la perde totalmente verso il finale.

La non-title track I Ate My Village (lo odiavano così tanto che se lo sono mangiato, evidentemente) chiude il disco sbordando di nuovo dalle parti del math, ma sempre con voglie di danze tribali chiaramente espresse.

Aspettative molto alte, perfettamente rispettate, quelle suscitate da I Hate My Village, che esce dalla punta delle dita della band (visto il contributo di Ferrari sarebbe riduttivo parlare di “duo”) apparentemente senza sforzo.

Un disco multiforme, capace di schizzare in molte direzioni, intenso e vibrante senza mai prendersi troppo sul serio, che si qualifica come una delle migliori uscite di questo inizio di 2019.

Genere: post rock, math rock

Se ti piacciono gli I Hate My Village assaggia anche: Bud Spencer Blues Explosion

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