Una volta si sarebbe parlato di “canzoni d’impegno civile” o qualcosa di simile. Fatto sta che Domenico Bucarelli, giovane cantautore di Reggio Calabria, ha deciso di raccontare le storie spesso difficili della sua terra di provenienza in un disco uscito da qualche mese, Io parlo. Ecco come ci ha raccontato le sue motivazioni.

Puoi raccontare la tua storia fin qui?

Non saprei nemmeno descrivere precisamente come sono arrivato fino a qui. La realizzazione del mio primo album è stata così improvvisa e inaspettata ma insieme sperata e desiderata. Mi sono ritrovato catapultato dalle quattro mura del mio studio a uno studio di registrazione. Mi sono sempre “nutrito” di musica, da piccolo attraverso la disciplina del pianoforte, da adolescente suonando in un gruppo di compagni di classe, poi, in età più matura, attraverso la composizione di mie musiche e di miei testi.

Io Parlo è il frutto di questo percorso ma è anche l’inizio di una strada del tutto nuova per me, che mi emoziona, mi permette di sperimentarmi in modo diverso, che si accompagna alla mia vita e professionale, io sono un mediatore culturale, e che mi completa nella persona che sono.

Il tuo disco rappresenta una presa di posizione piuttosto precisa rispetto al “comune sentire”: da dove ti nasce la voglia di fare un disco di “impegno civile”, cosa che non sembra più molto di moda?

Le 11 canzoni che compongono l’album nascono principalmente dall’intima necessità di raccontare ciò che vedo e ascolto intorno a me e nello stesso tempo di voler dar voce alle storie e alle persone che ho avuto modo in questi anni di conoscere. Storie molto spesso di sofferenza, ma al tempo stesso di estremo coraggio.

La canzone è uno strumento che ti permette di ridurre a una piccola unità qualcosa che per essere raccontato o spiegato necessiterebbe di molto più tempo e spazio. Se il mio primo disco quindi si connota come disco di “impegno civile” ciò è dovuto soprattutto al fatto che le donne e gli uomini di cui parlo hanno dedicato e dedicano la loro vita nella ricerca e nell’ostinata convinzione che il vero cambiamento può avvenire solamente attraverso l’impegno. Molto più semplicemente, io racconto loro, questa loro ostinazione e probabilmente anche un po’ della mia.

Quali sono state le difficoltà maggiori che hai incontrato nel realizzare il disco, se ci sono state?

Io Parlo è il mio primo album e come tutte le prime volte la difficoltà iniziale è stata soprattutto quella di dover superare le insicurezze personali. Decidere di realizzare un disco significa rendere pubblico qualcosa che prima era intimo e privato. Significa mettersi in discussione e accettare i propri limiti. Realizzare un album necessita poi di un grande lavoro di costanza e disciplina, del rispetto dei tempi e delle fasi di realizzazione, di una buona alchimia con i musicisti e tecnici che lavorano con te. Sotto questo punto di vista sono stato molto fortunato perché ho avuto ottimi compagni di viaggio che con il loro lavoro hanno permesso che “Io Parlo” uscisse alla luce del sole. Adesso la sfida sta tutta nella promozione dell’album, riuscire a far viaggiare le mie canzoni, farle ascoltare.

Come nasce “La mia città”?
“La mia città” nasce dal mio contesto di appartenenza. Vivo in una città complessa, come può essere una città del Sud, fatta di contraddizioni aperte e visibili. Sono innamorato della mia terra, e proprio perchè la amo, non posso fare a meno di soffrire quando vivo e osservo le violenze che troppo spesso è costretta a subire. Con le mie parole racconto la dicotomia di una città che riesce a farsi odiare nelle sue infinite reti inestricabili ma che comunque con le sue radici ti lega al cuore.

Puoi raccontare la strumentazione principale che hai utilizzato per suonare in questo disco?

L’album è stato realizzato “alla vecchia maniera” alla prima fase di arrangiamento, nella quale è stato fondamentale il lavoro di Enzo Rotondaro, è seguita quella della registrazione in studio insieme alla Brema’s Band. La chitarra elettrica di Pierfabrizio Puntorieri, il basso di Salvatore Praticò, la batteria di Christian Gangeri insieme alla mia chitarra ritmica e alla voce compongono le sonorità del disco che spaziano dal folk-rock fino a melodie più intime. L’album inoltre è stato arricchito dalla partecipazione di musicisti e amici come l’eccellente bluesman Domenico Canale e la sua armonica.

Il lavoro in studio è stato faticoso, ma nello stesso tempo divertente ed eccitante e come prima produzione si è cercato di tirar fuori un album godibile all’ascolto dove parole e musica sono il veicolo per dare risalto alle storie raccontate.