Abbiamo recensito un paio di giorni fa (qui) Avesom (titolo figlio della deformazione e italianizzazione di “Awesome”), la nuova uscita del trio bolognese Torakiki, che si pubblica giusto oggi. Sette tracce principalmente elettroniche, che tengono a bada le tentazioni synth pop e confezionano un sound piuttosto peculiare. Ecco qualche domanda e qualche risposta (sintetica) del trio.
“Avesom” arriva un anno e qualche mese dopo l’ep “Mondial Frigor”: potete raccontare che cosa vi è successo in questo periodo?
E’ stato un anno molto intenso. Abbiamo fatto le tipiche cose che fa una band, suonare in giro e arrangiare nuovo materiale.
In un’intervista precedente mi avete raccontato come ai tre brani di “Mondial Frigor” avevate lavorato prima separatamente e poi insieme. Avete costruito i brani di “Avesom” nello stesso modo?
E’ stato un lavoro svolto collettivamente. I brani partono quasi sempre da un’idea che nasce in maniera individuale e sono stati tutti poi rimasticati in studio. E’ stato da questo punto di vista un lavoro decisamente più complesso rispetto al precedente ep.
Potete spiegare perché avete scelto di pubblicare con un’etichetta tedesca come Symbiotic Cube e che tipo di accoglienza vi hanno riservato?
Ci siamo scelti reciprocamente. Noi abbiamo fatto un’attenta ricerca e la Symbiotic ci è piaciuta molto come realtà. E’ una netlabel di musica elettronica che organizza eventi, distribuisce musica, promuove sia il lato compositivo che la fruizione in termini di serata, di ballo. Ci è piaciuto molto quest’approccio. Ci è sembrato libero e allo stesso tempo concreto.
Torakiki: una struttura ritmica possente
Potete raccontare qualcosa delle genesi di “Luxard”?
Luxard è uno dei primi brani composti per il disco. L’abbiamo partorita già prima dell’uscita del nostro precedente ep. E’ un pezzo nato da un riff di synth, sul quale è stata costruita una struttura ritmica possente, circondata a sua volta da suoni leggeri e ambient. Contiene quindi tutti gli elementi che caratterizzano il nostro processo creativo.
Come avete scelto le due voci femminili del disco, Giulia Olivari e Ilaria Ippolito, e perché avete scelto di inserirle dei due brani forse più “tirati” del disco?
Essenzialmente sono due nostre amiche. Hanno una bella voce. Tutto è stato spontaneo e naturale. Ci è sembrato che l’impronta femminile potesse dare una personalità più forte ai pezzi in questione.
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
Synth analogici, basso, computer, tastiera.
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
Ci piacciono molto le sonorità di Populous e Capibara. Abbiamo ascoltato a fondo l’album di Matilde Davoli e l’abbiamo trovato entusiasmante. Siamo poi logicamente vicini alla scena bolognese, nella quale amiamo i Lips Against the Glass.