Verde è il nuovo disco di Jesse the Faccio. L’intendo del disco è quello di sviluppare in undici brani il concetto di “speranza”. L’album si divide in due parti; nella prima le liriche sono incentrate sull’idea che la “speranza” non serva, che sperare è inutile e non porti a molto di concreto.
Piano piano che il disco prosegue questo “ideale” va a perdersi arrivando al mezzo, allo strumentale (VERDE pt.2) che divide appunto il disco introducendone la seconda parte. In questa si tratta il concetto di “speranza” come fondamentale, la vera necessità di sperare. I cinque pezzi qui hanno suoni più sperimentali, tra ballate lo-fi/punk e punti di rumorosa intimità, dove anche le liriche risultano tra l’onirico e il nonsense.
Jesse The Faccio traccia per traccia
Si parte punk con Verde, breve, elettrica, ribelle e un po’ debosciata, soprattutto nel cantato.
Ha echi un po’ diversi e qualche sensazione new wave Dita Gialle, che ha tratti curiosi nel testo (“customizzando ogni espressione/per vederti ancora nuda al sole”).
Poco satanica e ricca di “Ti amo sbiaditi come segnaposti sull’autobus” 666, canzone agile e sghemba, piena di immagini fuori contesto.
C’è un po’ di melodia e perfino di romanticismo in Yaz, che ha una chitarra che scava nella dark wave, sempre con contorno di surrealtà nel testo.
Discrete dosi di Cure e compagni si trovano anche nei suoni allungati di Untitled, con il drumming che pesta un po’ e il testo che parla incessantemente di cose che faticano a stare insieme ma curiosamente, nella voce svogliata di Jesse trovano un senso.
Spacca in due il disco Verde pt. 2, strumentale molto rock e molto intenso. Modi più tranquilli quelli di 2011, almeno finché non si accelera in modo abbastanza brusco nel finale, soprattutto per negare la nostalgia.
Ci si muove sempre in ambiti post punk con Amen, molto punteggiata dal drumming e molto aperta alle chitarre. Morbida e fluttuante, ecco poi Caviglie, che nonostante i toni minori sembra uno dei pezzi più intensi del disco.
C’è la chitarra ad aprire Nissan, cesellando con calma il concetto di difficoltà di guida (chissà se soltanto con automobili asiatiche oppure in genere).
Si finisce con voce e chitarra in TTMB, uscita storta da un disco che dritto non è stato mai.
Non si ascoltano spesso dischi di questo genere in italiano. Anzi non se ne ascoltano quasi più: Jesse The Faccio pesca in modo vasto da anni ’80 e ’90, riempiendo però le canzoni di nonsense, ironia, sguardi stralunati. Il risultato è curioso e inusuale, decisamente meritevole di attenzione.