Esce in distribuzione Artist First Sogno vero, il nuovo disco di Kublai. Quattro tracce, una piccola collezione di paradossi, un nuovo ep per il progetto solista di Teo Manzo che segue la pubblicazione del omonimo disco d’esordio del 2020. Co-scritto da Mamo (già batterista degli Io?Drama), e prodotto da Vito Gatto, questo disco attinge a piene mani dalla categoria dei sogni, tanto improbabili quanto rivelatori, sceneggiature che mostrano, senza risolverla, l’ambiguità del reale.
L’ossimoro del titolo allude a un “risveglio”, alla consapevolezza di aver vissuto qualcosa di così assurdo da assomigliare a un sogno. Se i quattro brani del disco ci chiedono di guardare il baratro, ci offrono, al tempo stesso, una passerella, una via d’uscita panoramica, un passaggio sicuro dal sogno-incubo al sogno-desiderio.
Come già nell’album di esordio del 2020, Kublai vuole ricomporre la distanza tra forma e contenuto, tra canto e canzone. I testi di Kublai sono sfocati, ellittici, eppure vividi nella presenza della voce, e così le musiche, che alternano canti a spazi, architetture melodiche a momenti di respiro strumentale. Per Kublai, Sogno vero è anche un auspicio: dotare il canto di un potere espressivo a prescindere dal suo, spesso superfluo, contenuto.
La pienezza di una fine, un oceano di inchiostro con cui scrivere per non annegare, un corpo inerte che si fa approdo e riparo, una festa sul tetto accessibile solo se dormi.
Kublai traccia per traccia
Quasi un singhiozzo sintetico quello che si colloca all’inizio di Una notte più lunga, brano d’apertura dell’ep. Poi i suoni trovano le forme elettriche della chitarra, pur rimanendo su orizzonti vasti. Si racconta di cambiamenti mentre a essere particolarmente cangiante è la musica, che attraversa un vasto spettro di colori nell’arco del brano.
Un po’ meno eterea Un fine più grande, che trova il proprio percorso senza alzare troppo i toni e con qualcosa di Battiato negli echi e nella postura.
L’armadio vede un battito regolare e un mood piuttosto malinconico e introspettivo. Ma anche qui l’elettronica si lascia sfarfallare con una certa libertà.
A chiudere il lavoro ci pensa Attico, descrittiva e architettonica, tra sogni lirici e realtà sonore, in una sorta di dream pop in cui le ombre prevalgono sulle luci.
Esplora paesaggi diversi e parzialmente nuovi, Kublai, che porta avanti la propria avventura da cantautore con una scrittura pensosa, accoppiata però a suoni capaci di trasformazioni continue. Un ottimo lavoro, interessante e profondo.