Una chitarra e molte idee: questo il nécessaire che è servito a Gabriele Bombardini per mettere su disco il proprio esordio dopo molti anni accanto a tantissimi artisti di grande livello della scena italiana. Il risultati è I’m Walking Alone (qui la nostra recensione): lo abbiamo intervistato.
Dopo tanti anni da co-protagonista in tanti dischi, un disco da solista: perché e perché ora?
Perché sentivo la necessità di fotografare musicalmente gli ultimi due anni fatti di studio, ricerca e ascolti.
Da dove nasce la scelta di “camminare da solo” invece che di, per esempio, mettere in piedi una band?
Mi piace collaborare con altri artisti, lo faccio abitualmente, ma trovo altresì molto stimolante confrontarmi soltanto con me stesso.
E’ la maniera di sperimentare le varie possibilità stilistiche e sonore che offre la chitarra. Anche se è un disco realizzato esclusivamente con chitarre (a eccezione di Children in collaborazione con Matteo Scaioli ai synth analogici), non penso che sia un disco solo per chitarristi, mi piace credere che possa incuriosire tutti quelli che amano viaggiare con la musica.
Sento che questa esperienza musicale debba andare avanti così ancora un po’, chissà in futuro…
So che l’intenzione è di portare anche dal vivo le stesse sonorità in solitudine: hai già fatto qualche esperienza di questo genere e come è andata?
Una proposta musicale come questa richiede partecipazione e attenzione da parte di chi ascolta, infatti i concerti cerco di farli in contesti inusuali (rassegne ad hoc, corti di palazzi antichi, parchi, mostre…)
Suonando da solo diventa importante per me utilizzare molti colori (chitarre acustiche, senza tasti, elettriche, lap steel e vari effetti).
Utilizzo inoltre un looper che mi permette di registrare in tempo reale una traccia su cui posso sovraicidere altro e così all’infinito.
Direi che la risposta del pubblico è sempre positiva. Spesso mi dicono che hanno fatto un viaggio e questo per me è un grande complimento.
Vista l’ammirazione dichiarata per i Pink Floyd, immagino che “Shine On” e “Diamond Shine On” si possano considerare due omaggi. Come nasce l’idea?
I brani, in una forma diversa, sono nati quando Andrea Bernabini (artista e video maker ravennare) mi ha proposto di sonorizzare un mapping architetturale in 3D del Mausoleo di Galla Placidia.
Visti i mosaici che si trovano all’interno e in generale quelli che puoi vedere in diverse chiese del ravennate (i più belli del mondo), il legame tra la brillantezza e la luce dei mosaici era naturale.
Ho fatto mio il titolo dell’evento (Galla Placidia Shines on) adattandolo per questi brani. Che tu legga una sorta di omaggio ai Pink Floyd va benissimo, è un po’ casuale, ma sono comunque uno dei miei gruppi preferiti e la loro influenza non la nego di certo!
Una domanda “tecnica” (e un po’ pessimista): che cosa prova un musicista di lungo corso, laureato al DAMS, che ha studiato con Scofield, Metheny eccetera, a sapere che i propri sforzi sonori saranno spesso ascoltati attraverso streaming, perdendo per strada parte del lavoro di precisione fatto in studio? Ci sono rimedi per questo tipo di fenomeno, ovvero: si può scrivere musica tenendo conto del mezzo con cui sarà ascoltata?
In effetti un buona parte delle nuove generazioni non conosce l’esperienza di un ascolto musicale di qualità. Gli mp3 che trovi in rete sono quasi sempre tecnicamene scadenti.
Gli strumenti di riproduzione (lettori, telefoni, pc, cuffie…) non garantiscono un ascolto adeguato. Ascoltare musica non è più un’esperienza assoluta ma è funzionale ad accompagnare altre attività (correre, studiare, guidare…)
Una volta si attendeva con smania l’uscita di un certo disco, ci si chiudeva in camera e lo si asoltava! Io cerco di fare le cose meglio che posso e con il massimo impegno. Spero che chi si avvicina alla mia musica lo faccia con quella curiosità che porti a un ascolto (e magari un riascolto) attento e coinvolto.
Penso sia solo una questione di tempo, la tecnologia di trasmissione dati darà la possibilità di ascoltare e vedere files a una risoluzione maggiore e quindi a una qualità certamente superiore.
E’ banale dirlo ma è l’uso che si fa della tecnologia a fare la differenza. E’ la stessa tecnologia che mi permette di produrre la mia musica nel mio studio a casa o che mi permette di distribuirla direttamente in tutti gli stores digitali del pianeta. La vera rivoluzione è culturale, lavorare per stimolare gli ascoltatori, per incurosirli.
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