Un esordio maturo, compatto e parecchio incazzato: Virale è il primo disco de Il Vuoto Elettrico (qui la recensione), ed ecco la nostra intervista con la band.
“Virale” è il vostro esordio. Qual è stata la vostra storia fino a qui?
La nostra storia è recente, siamo un gruppo di fresca costituzione, nato nel gennaio del 2014. La storia dei singoli componenti de Il Vuoto Elettrico è invece di lungo corso.
Ciascuno di noi ha militato per molto tempo (anche interi decenni) in diverse formazioni rock con progetti a volte anche molto distanti tra di loro.
L’idea di plasmare I.V.E. non è altro che la volontà definitiva di fare un sunto delle nostre esperienze, raccogliere le migliori energie disponibili per convogliarle in un progetto nuovo di zecca. Ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti: “O adesso o mai più”.
Il vostro è uno dei non pochi dischi incentrati sulla paura come caratteristica principale del momento storico che stiamo vivendo. Perché lo ritenete un elemento così centrale oggi?
Sinceramente pensiamo di aver affrontato il tema in maniera “laterale” rispetto a quanto è stato fatto fino a oggi. Non puntiamo il dito sulla disgregazione dei valori, sull’incapacità di “vedere futuro”, temi comunque tutt’altro che insignificanti.
“Virale” vuole verificare lo “stato dell’arte” delle nostre coscienze, ha tratti solo labilmente riferibili alla situazione sociale che stiamo attraversando.
Preferisce scavare nelle nostre paure e nel loro contagio, ai meccanismi di trasmissione di questa “malattia” che non ha bisogno di agenti patogeni ma solo di comportamenti errati e pensieri deboli per “passare” da un individuo all’altro. E il tutto sa di esorcismo, se ben lo si interpreta.
Mi incuriosisce molto “Arianna tace”: qual è la genesi della canzone?
La molla che ha fatto generare il testo è la volontà di trattare il tema dell’incomunicabilità, della sfiducia nella parola.
Decidere di smettere di parlare come forma estrema di protesta nei confronti di tutto e tutti potrebbe quasi far sorridere ma – in realtà – è un dramma a cui io stesso mi sento di oppormi con tutte le mie forze.
Smettere di parlare equivale a rinunciare, sotto un certo senso, a essere umani. E questo non ce lo possiamo davvero permettere, per questo ci mostriamo critici nei confronti di chi adotta (anche in senso non strettamente letterale) questo tipo di protesta.
Dal punto di vista musicale Arianna Tace nasce sviluppando un giro armonico sul quale abbiamo lavorato in fase di arrangiamento con non poche difficoltà. Il nostro lavoro è stato quello di “sottrarre” più che di “aggiungere”.
Questa canzone sarà il nostro secondo singolo, accompagnato da un video che a noi piace moltissimo e che abbiamo girato in un ospedale psichiatrico abbandonato. Un vero posto da incubo, te lo garantisco.
Perché avete scelto di fare una cover di “Emilia paranoica”, brano storico dei CCCP-Fedeli alla Linea?
Si inseriva perfettamente nelle tematiche del disco: il suo incedere “inquietante”, profondo e allo stesso tempo destabilizzante è sembrato subito ideale per completare il disco.
E’ l’ultimo pezzo che abbiamo inserito nella track list e siamo stati incerti fino all’ultimo sulla necessità di farlo. Con il “senno del poi” sarebbe stato un grave errore non metterla, anche perché la rilettura del pezzo è piaciuta un po’ a tutti.
Emilia Paranoica è molto diversa dall’originale ma mantiene le sue coordinate di base. E’ proprio quello che volevamo ottenere, niente da dire.
Sulle prime ero convinto che Asso di spade parlasse semplicemente di droga, invece il discorso riguarda anche il doping. Come nasce la canzone?
In effetti l’equivoco ci può stare e in parte è voluto. La canzone nasce dalla lettura del primo capitolo dell’autobiografia di Agassi, dove il campione americano racconta di svegliarsi spesso sul pavimento dei vari hotel immobilizzato a causa delle migliaia di ore di tennis estremo e degli allenamenti massacranti sostenuti fin dalla più tenera età.
Da lì sono partito per sviluppare una storia parallela di un atleta “impossibilitato a perdere” che tenta di rimanere fedele alla sua condanna con tutti i mezzi.
La paura di iniettarsi dei farmaci sperimentali non è nulla in confronto a quello che lo aspetta. Il fatto di vedersi spacciato, alla fine, gli fornisce però sollievo: è in quel momento che capisce che la vera paura è solo quella di sopravvivere a certe condizioni: non siamo mai totalmente liberi fino a che non abbiamo perso tutto, non credi?