I Moongoose hanno da poco pubblicato Irrational Mechanics, esordio su nove tracce che parte dal Bristol Sound per costruirsi una strada propria, tra elettronica e melodia. Li abbiamo intervistati.

Mi potete riassumere la storia della vostra band?

La band ha preso forma attraverso una serie di sperimentazioni e collaborazioni da parte del nostro bassista che, partendo dal basso e dall’elettronica, ha voluto costruire qualcosa di personale con l’ausilio di altri musicisti.

Abbiamo trovato la nostra dimensione definitiva nel 2011 con l’attuale formazione in trio. Abbiamo così iniziato a costruire insieme i brani che compongono il nostro primo album.

La vostra parentela sonora con il Bristol Sound è evidente, ma trovo che il lavoro di basso e batteria sia invece molto personale: benché il titolo parli di “Mechanics”, trovo che nel vostro disco predomini l’analogico (ovvero la parte “Irrational”)…
Il riferimento al Bristol Sound è certamente quello che si percepisce di più al primo impatto, ma noi non abbiamo mai voluto fissarci schemi precostituiti in fase compositiva nè tantomeno rinchiuderci in un preciso genere.

Il nostro sound è frutto del lavoro complessivo di tutti e tre, influenzati anche da cose molto diverse. Con il basso che ricama le linee melodiche principali e che insieme alla batteria e ai glitch costruisce ritmiche a volte anche spigolose, gli equilibri sono spesso instabili e la voce e le sequenze hanno il compito di creare quell’amalgama che renda il suono pieno ed equilibrato.

Tutto nasce in parte in maniera ragionata, ma per gran parte viene fuori in modo istintivo ed anche un po’ “irrational”.

Perché avete deciso di far convivere inglese e italiano? Pensate di scrivere qualche canzone in italiano in più in futuro?

La voce ha un ruolo molto musicale nel nostro progetto, quasi come fosse uno strumento inserito in tutto il resto, piuttosto che un qualcosa a sé, e in questo probabilmente l’inglese è la lingua più funzionale.

Inoltre, per i temi trattati, alcune espressioni in inglese non avrebbero in italiano la stessa eterea sontuosità e musicalità. Qualche esperimento in italiano l’abbiamo fatto e uno di questi ci è sembrato significativo come ultima traccia dell’album. Magari in futuro ne verranno anche altri.

Non ho riconosciuto la citazione (credo) cinematografica contenuta in “Mistake”: potete sciogliere il mistero? Come nasce la canzone?

Il sample è tratto dal film del ‘72 “Solaris” del regista sovietico Tarkovskij. La voce è di Hari, la quale nel film non è altro che una proiezione frutto dell’immaginazione collettiva.

Ci sembrava abbastanza onirica e inquietante tutta la storia che è stato quasi naturale inserire un campione audio esattamente nel punto in cui la canzone si svuota e dà adito ad una sequenza più surreale.

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