Tutti i colori dei Plunk Extend: all’interno di Prisma, la band art rock ha proposto cinque tracce intitolate a cinque colori diversi, ma anche a tinte differenti (qui la recensione). Ecco la nostra intervista con loro.
Potete raccontare la storia della vostra band fin qui?
Ci siamo incrociati nel 2006 per fare la classica band da party hard adolescenziale. Abbiamo composto, suonato, sperimentato per anni, senza voler fare necessariamente questo o quel genere, ma sempre cercando qualcosa, senza capire bene cosa.
Ci divertivamo, soprattutto. Poi a un certo punto è arrivato un giorno d’estate, una chiacchierata su un divano, occhi negli occhi, e ci siamo illuminati.
Ci era sembrato di aver immaginato qualcosa di bello, qualcosa che portasse veramente il nostro nome sopra. Sono passati due anni e adesso quel qualcosa si chiama “Prisma”, ed è come guardarsi allo specchio per la prima volta.
Benché articolato su cinque brani, definite “Prisma” “non un ep ma un disco vero e proprio”: volete spiegare perché e anche il motivo della scelta “colorata” dei titoli di disco e canzoni?
Lo consideriamo un disco vero e proprio perché, nonostante la brevità, non è una collezione di canzoni sparse ma un preciso progetto concettuale, che inizia e finisce in cinque brani e ventitré minuti circa.
I colori sono stati uno spunto per parlare di noi e dei nostri mondi immaginari, dandoci di volta in volta una direzione ma senza un tracciato preciso. Un colore è qualcosa di altamente simbolico e universale (qualcuno potrebbe anche dire banale: banale come quasi tutte le verità).
Scegliere i colori come frame concettuale ci ha permesso di parlare di tante cose diverse, allo stesso tempo differenziandoci (da canzone a canzone) e uniformandoci (all’interno del disco).
Avete sperimentato la composizione “separata” dei brani del disco: ogni componente una canzone. Come è andata l’esperienza? Potreste ripeterla in futuro?
La composizione non è stata totalmente separata, ma ha attraversato varie fasi, diversificandosi soprattutto tra musica e testo. La scintilla iniziale, l’idea musicale da cui poi il pezzo si è sviluppato, è partita sempre da un componente diverso, che ha dato l’input principale per il proprio colore.
Il resto è stato sviluppato a più mani, soprattutto durante lunghe session in sala prove, in cui comunque ognuno di noi aveva l’ultima parola sul pezzo del proprio colore.
I testi invece sono stati scritti da me (che mi occupo di cantare e, per l’appunto, scrivere) dopo aver raccolto immagini, riferimenti, “confessioni” – se possiamo chiamarle così – dagli altri membri della band.
Ho cercato insomma di parlare con le loro voci, di raccontarli da fuori facendo finta d’esser dentro. È stata una bellissima esperienza, sia artistica sia umana, e non vedo l’ora di ritentarla nei prossimi lavori, con qualche miglioramento…
Nei vostri testi appaiono spesso immagini “avventurose”: vorrei sapere quali sono le vostre fonti di ispirazione.
Ho una scrittura molto visiva, e spesso scrivo avendo in testa immagini, sfondi, quadri. In un concept sui colori questo tipo di impostazione è ovviamente un buonissimo punto di partenza.
In realtà poi questo dividerci in colori “magici” che ci trasportassero in rifugi monocromatici, in fughe dal mondo dall’aria così allegorica, è qualcosa che sicuramente deriva dal mio flirtare con tutta la narrativa di genere, col fantastico tutto, da Calvino (Le città invisibili, per esempio) al fantasy più classico, fino a sfociare nei giochi di ruolo (da dove probabilmente deriva l’idea originale, tra le nebbie dell’inconscio adolescenziale, in fondo a qualche libro-game anni ottanta…).
Ma ci sono brani ispirati anche a Borges (il racconto L’accostamento ad Almotasim è stato fondamentale per la stesura di Bianco), immagini che vengono ovviamente dalle arti figurative (De Chirico in Verde, Goya in Nero), e più in generale miei voli di fantasia che (dato che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si ruba) proverranno certamente da qualche parte chissà dove.
D’avventuroso però non ci vedo molto, se non qualche scena di Rosso o alcune suggestioni tra Verde e Nero; ho sempre immaginato i pezzi di Prisma come scene abbastanza statiche, equilibri di spazi, azioni e luci che raccontano nuove realtà, universi tascabili, mondi alternativi, simbolici, privati. Cartoline da un altrove, perché questa realtà che abbiamo intorno non ci basta più.