Testo e foto di Fabio Alcini
Fa un caldo porco @ Germi – luogo di contaminazione, il locale/libreria/sala concerti che Francesca Risi, Gianluca Segale, Rodrigo D’Erasmo e Manuel Agnelli hanno aperto a Milano, in via Cicco Simonetta 14/A (zona corso Genova). Del resto fuori c’è una Milano con le strade semideserte della domenica d’estate ma con una temperatura che va dal rovente alla fusione nucleare.
E dentro Germi ci sono una settantina di persone per la chiusura della stagione affidata a due dei padroni di casa, Manuel Agnelli e Rodrigo D’Erasmo appunto, impegnati in giornata in un doppio spettacolo che propone in acustico alcuni dei brani più celebri con i quali gli Afterhours hanno, nel corso degli anni, fortificato l’idea che anche in Italia fosse possibile proporre con successo un certo tipo di musica, di idee, di visione. Si tratta della seconda performance di giornata, dopo un concerto pomeridiano reso necessario dall’affluire delle richieste.
Il tono con cui Manuel, ma spesso anche Rodrigo, presenta l’evento è tutto fuorché trionfalistico: il registro fisso è quello dell’ironia, con una palese voglia di interagire con un pubblico che può effettivamente guardare in faccia, spettatore per spettatore.
Si parte da Strategie e subito cantano tutti. Manuel ha due chitarre acustiche e ogni tanto siede al pianoforte, ma soprattutto ha in mano la situazione in un modo che in tanti anni di concerti non ci è mai capitato di vedere. Ok, questa è casa sua, ok il posto è piccolo, ma l’impressione è di essere di fronte a un artista talmente completo, maturo, sicuro di sé che può governare la serata con un battito di ciglia. O con una voce, tipo quando chiede dei cocktail.
“È una festa fra amici” dice, mentre chiede di non usare i cellulari per i video. Il pubblico cercherà di ascoltare l’indicazione ma senza esagerare. Del resto quando ti ricapita di avere un idolo che si esibisce a pochissimi metri di distanza?
Ballata per la mia piccola iena porta avanti la serata e regala momenti di aggressività. Manuel dice che ha due problemi: l’accordatura e la pettinatura. E proseguirà nel cazzeggio verbale in modo incessante tutta la sera. Dopo un po’ è chiaro che oltre che per indole maturata negli anni, oltre che per sconfiggere il caldo, lo fa anche per spezzare la tensione creata da brani che a volte sono di un’intensità spaventosa. Tipo Male di miele, tipo una Padania molto vibrante.
C’è spazio anche per qualche lettura, del resto siamo pur sempre in una libreria. Germi dà spazio agli artisti del quartiere (“Adesso che lo sapete però non venite a portarci poesie, canzoni, romanzi” dice il finto burbero dietro il microfono). Non è per sempre arriva subito dopo. Rodrigo dardeggia con il suo violino e regala dissonanze e bagliori psichedelici qui e là.
Arriva da Folfiri o Folfox, ed è una delle pochissime, Non voglio ritrovare il tuo nome, prima che Manuel passi al pianoforte, commentando benevolmente la musica contemporanea (“penso proprio che sia uscita un sacco di merda”). Ma c’è qualche eccezione, per esempio Video Games di Lana Del Rey (“Me l’ha fatta conoscere mio figlio”), di cui fa la cover.
Si torna ai classici targati Afterhours, come Pelle, resa in modo particolarmente rovente, prima di inforcare gli occhiali per recitare un lungo brano di Michele Mari.
Si parla poi della morte delle speranze degli anni ’90, uno dei punti fermi dell’Agnelli che si guarda alle spalle, prima di eseguire la cover di You know you’re right, l’ultima canzone incisa da Kurt Cobain prima del fucile, qui eseguita con svisature di Rodrigo.
Arriva poi Ti cambia il sapore, scritta, come da introduzione, quando il padre stava morendo e quando Manuel cercava di capire anche quello che non gli diceva.
Ecco poi un “pezzo al quale sono molto legato e che faccio molto raramente”, cioè Musa di nessuno. Per spiegarci quanto è cattivo e crudele, colui che ha pur sempre recitato per un po’ la parte del giudice stronzo di X Factor racconta come durante il concerto del pomeriggio abbia consentito ad alcune canzoni a richiesta, che però non ha fatto e che farà stasera. Insomma si diverte come un pazzo, è evidente, e noi con lui.
Dopo un piccolo incidente di percorso (cioè la tonalità dettata dal capotasto messo in modo da rendere impossibile a Rodrigo di intervenire nella canzone) ecco Bianca, sempre molto fluida, piacevole, persino pop.
Siede di nuovo al piano e annuncia la canzone preferita di sua sorella, che però è venuta al concerto delle 16 e lui non gliel’ha fatta. Dura lex sed lex. E parte con la meravigliosa Martha di Tom Waits, un filo più nervosa dell’originale, ma ci sta. Siamo purtroppo quasi alla fine: ecco Bye Bye Bombay, prima di una breve pausa che lascia spazio a Quello che non c’è e a un ultimo siparietto in cui Manuel sostiene di non aver scritto Dentro Marilyn ma di aver scritto il brano successivo, che andrà a chiudere la serata. E parte Perfect day, che evidentemente quel cattivone di Lou Reed deve avergli rubato.
E vicino alla perfezione ci siamo davvero: due ore di concerto estremamente intense, calibrate, tempi perfetti, esecuzioni eccellenti anche quando sono sporche, spazio anche per un paio di schitarrate furibonde che mostrano anche l’abilità tecnica del soggetto in questione, accentuata dal fatto che il live si è giocato tutto in acustico e niente di elettrico. E un rapporto con il pubblico continuo, intenso, positivo. Le illusioni si sono spezzate, il futuro fa schifo, fa un caldo assurdo, i capelli di Manuel sono un casino e la barba è bianca. Ma in Italia concerti di questo livello se ne vedono davvero pochini. E non scriviamo “nessuno” perché se no magari poi legge e si monta la testa.