Viaggiare stando fermi è una specialità dei sognatori: anime spesso pure e nobili, valorose e indomite, che seguono il fluire delle emozioni mentre navigano, camminano, sorvolano. La terza serata di Lilith Festival 2024 ha avuto proprio il viaggio, le viaggiatrici e i viaggiatori come protagonisti, impegnati ad accompagnare il pubblico, tenendolo per mano, lungo un percorso fatto di onde e mare mosso, terre e venti, cieli e attese pazienti.
Genova, terra di navigatori e prezioso crocevia, ha lasciato ancora una volta spazio alle storie che vengono da lontano, le ha accolte, cullate, avvolte senza nascondere o banalizzare il loro dolore, la loro profonda essenza. A regalare tutte queste emozioni tre artisti, diversi tra loro nei suoni ma non nell’intenzione, provenienti da aree geografiche differenti ma accomunati dal dal desiderio di dar voce a chi non ne ha, o ne ha troppo poca per urlare la sua disperata preghiera di rinascita.
Lo hanno fatto i Cadira, che ci hanno accompagnato da Smirne al Libano, tra preghiere e racconti di viaggio, canti propiziatori e spirituali. Musiche mediterranee, forti e coraggiose, senza confini. Il duo composto da Eugenia Amisano, cantante italo spagnola, e Paolo Traverso, chitarrista e compositore, celebra dal 1999 la musica antica e popolare spagnola, ma prosegue la sua esplorazione verso gli angoli del mondo, uniti da fili preziosi che si intrecciano.
Lo hanno fatto i Rebis, il duo composto dalla cantautrice Alessandra Ravizza e dal chitarrista Andrea Megliola, accompagnati dal polistrumentista Edmondo Romano sul palco. Un altro viaggio, un incontro tra culture che riecheggia in ogni brano proposto, in ogni nota, in ogni pausa. Un’interpretazione vocale importante, sentita, sempre appassionata e accompagnata da un sorriso affranto, una presa di coscienza dolorosa, una speranza che non vuole e non sa darsi pace e tregua. I Rebis cantano storie d’amore, di morte, di vite, spesso molto diverse da quelle che conduciamo nelle nostre quotidianità prevedibili, e forse proprio per questo così emozionanti.
E sì, lo ha fatto anche l’headliner della serata, la cantautrice salentina Maria Mazzotta, accompagnata dai musicisti Ernesto Nobili e Cristiano Della Monica. Spiazzante per la potenza vocale, per la capacità di trasportare altrove e nello stesso tempo rimanere saldamente ancorata a terra, spaziando tra sonorità inaspettate e riconoscibili. Gli esordi vedono l’artista muovere i primi passi come voce del Canzoniere Grecanico Salentino, proseguendo con una carriera solista appassionata e carnale. Il suo ultimo album, intitolato Onde, riesce a offrire le due facce della medaglia del mare: quella che vuole cullarti, delicatamente, e quella che con la sua furia può e sa portare in luoghi del tutto inaspettati e spesso non troppo accoglienti.
Viscerale, spiazzante, atomica quasi, l’interpretazione lascia davvero senza parole: le storie di chi lascia la propria casa per cercare un nuovo posto in cui sentirsi al sicuro indossano un abito rock e potente, vengono eviscerate nella loro complessa sofferenza, senza tralasciare alcuna sfumatura. “Se cantiamo insieme la vita è più bella” afferma l’artista tra un brano e l’altro, che ripercorre i traffici di anime indossando, al suo ingresso, uno dei teli che vengono utilizzati per proteggere dal freddo le persone in difficoltà, le sensazioni di paura e speranza che le accompagnano. E, ancora una volta, la musica è capace di prendersi cura dei dolori, piccoli o grandi che siano, almeno per un po’. Una piccola magia che si ripete quando anime belle e strumenti si incontrano, magari a un crocevia.
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