Max Casacci, “Urban Groovescapes (Eartphonia II)”: recensione e streaming

Max Casacci, co-fondatore e chitarrista dei Subsonica, dopo i suoni della natura di Earthphonia torna con Urban Groovescapes (Earthphonia II), un album di musica senza strumenti musicali che gioca a svelare il groove nascosto della città, attraverso la ricerca e la manipolazione delle fonti sonore urbane.
Il nuovo lavoro, che esce in digitale e in vinile per 35mm, sezione cinematografica/sperimentale di 42 Records, è una collezione di brani composti esclusivamente a partire dai suoni delle città. Mezzi di trasporto, ambienti stradali ma anche oggetti di consumo, sport, la voce di una diva, i rumori di un cocktail bar. Un gioco d’immaginazione creato con i suoni della quotidianità. Un viaggio incentrato sul ritmo e sul movimento. Un invito a ripensare il rapporto con lo spazio urbano: “Le città cominciano a cambiare solo quando riusciamo a immaginarle differenti”.
Urban Groovescapes è una sinfonia della metropoli che segue la sfida intrapresa con l’album precedente sui suoni della natura e dei suoi ecosistemi. Oggi quella sfida fa un altro passo, ed è un passo di danza che trasforma il “rumore” della città in musica.
Attraverso la scrittura di questi brani, messi assieme nell’arco di anni, ha preso forma una suggestione di città differente dai canoni che connotano, invariabilmente, la narrazione urbana attraverso la musica. L’impulso da cui parte questo album è lo svelamento della ricchezza sonora della città, e l’articolazione del suo “rumore” in musica. Quella di “Urban Groovescapes” è una città che estrae ritmo e colori dagli stimoli della quotidianità, giocando a proiettarli in un immaginario dancefloor.
Non lo spazio alienante, grigio e che spesso viene descritto con compiaciuta e persistente estetica del degrado, ma una città che gioca a ripensarsi e che qui, idealmente, danza sui suoni di un groove-set dilatato, ampio, spazioso. Le città diventano come le immaginiamo. E oggi, inevitabilmente, il mondo stesso potrebbe essere ripensato a partire da esse. L’ho detta forse un po’ grossa ma l’ho detta in musica, con quest’album che è un disco, ma vuole anche essere un contenitore aperto, in costante evoluzione, pronto ad arricchirsi.
Max Casacci traccia per traccia
La risata di Monica Bellucci (poi ricampionata lungo il brano) apre Anita/Club Edit (A Diva: Monica Bellucci), brano che ci immerge nel disco ma anche in atmosfere da club un po’ vintage e comunque eleganti, con un senso di melodia che fa capolino qua e là, soprattutto attraverso i cori.
Un battito preciso arriva poi con Groove X-Capes (An XJ perfume flacon), che si fa ipnotica e fitta di percussioni ma anche di suoni a loop.
Più nervose le atmosfere di Mixology (A cocktail bar), che versa liquidi mentre i ritmi si fanno elettrici e le percussioni salgono di colpi, per un brano che si allunga fino a sfiorare i sei minuti.
Messaggio di Gioia (Urban transports Torino/Milano) si trasferisce in metropolitana, fa pensare ad altri percorsi ferroviari tipo Kraftwerk, ma con idee techno spiccate e insistenti.
Si corre sui binari anche con Tramvia 1 (A tram ride Torino/Firenze), che però si fa un po’ più sfumata, anche se sempre acidella. Si scende in campo con ATP Finals but the bass (100% Tennis: but the bass), rendizione plastica di urla, colpi, entusiasmo registrati sul campo, mentre la pallina rimbalza tra le righe.
C’è un po’ di magia nei suoni di Tororosso (An F1 racing car), che si cala invece nelle piste automobilistiche, ma senza esagerare con la velocità. Finita la corsa in auto comunque, si prosegue in bici: La mia bici acustica (Marco Aurelio’s bike), per la precisione. Che poi tutta acustica non sembra, ma sicuramente rimbalzante in ambienti un po’ più ambigui.
Si riparte in salita con i battiti profondi di A mountain city song (Courmayeur Mont Blanc), che è un po’ meno “urbana” e accoglie qualche suono naturale in un sound comunque molto vertiginoso.
La chiusura inverte i concetti: Gap the Mind (North 1 London) con Oswald Lawrence intona un piccolo concerto di campane, non privo di una certa malinconia di fondo.
Gli istinti affini al dancefloor, se te li devi aspettare da casa Subsonica, te li aspetteresti forse di più da altri componenti della band torinese. Ma Max Casacci ha sempre dimostrato creatività e versatilità in dosi massicce e non si smentisce certo questa volta.
Anzi, dopo essersi immerso in idee naturali con il primo Earthphonia, qui esplora tutte le tensioni umane e tecnologiche che fanno parte di un mondo sempre in rapido cambiamento, leggendo bene un presente nervoso e mai del tutto fermo.