Ha già collezionato giudizi particolarmente brillanti Notturni (o Nocturnes, secondo la dicitura italiana o inglese: nella recensione noi privilegeremo quella italiana) il nuovo disco del sassofonista bolognese Alessandro Meroli, uscito per Space Echo/ Schema Records. Già molto ben recensito soprattutto in UK, anche da noi l’album trova riscontri grazie alle sue linee fluide
Meroli traccia per traccia
Il disco si apre con Crepuscolo, e inizia a descrivere le sensazioni di una notte che prende vita. Il brano di apertura è morbido e sinuoso, senza troppe frizioni, per un ingresso soffice nei suoni e nelle luci che si abbassano.
Qualche traccia più nervosa si intuisce da Le luci della sera, che approfondisce i propri sapori gradualmente, sfociando in una sorta di jam in cui le percussioni sono particolarmente evidenti.
Dopo la lunga sessione, particolarmente animata, del brano precedente, c’è la ricerca di Dove sei?, con il sax quasi perso nel traffico di città, prima che sonorità spettrali si impossessino della scena. Il sassofono poi torna per completare un’ambientazione morbida ma anche molto metropolitana, ove però la metropoli potrebbe essere la Brooklyn del ’55.
Molto più concitati e ricchi di tensione i passaggi che accompagnano Nel Cuore della Notte, con atmosfere quasi poliziesche, che in qualche modo possono far pensare a situazioni musicali fuori dall’immediato ambito jazz, come Calibro 35 o King Crimson.
Storie più cupe quelle delineate da Trittico della Notte Profonda, una sorta di fase REM del disco, in cui però hanno modo di emergere maggiormente le angosce e le tristezze. Il brano peraltro muta e affronta discorsi di carattere teatral-cinematografico, con apporti di fanfara e di elettronica. Chiusura morbida per una piccola suite a sé stante.
Si viaggia Alla fine della notte in modo più instabile, con un mood che si fa insinuante e anche un po’ orientaleggiante. Alta si leva la Stella del mattino, che poi è Venere o Lucifero, secondo la mitologia di riferimento, tra suoni arpeggianti e con il pianoforte a sottolineare i passaggi più luminosi.
La chiusura è una piuttosto sorprendente Aurora, che si celebra con i suoni di una slide, perché evidentemente il giorno che arriva è elettrico, anche se sempre piuttosto morbido.
Ottimo sforzo compositivo quello di Meroli, capace di costruire una struttura narrativa molto solida, nella quale si collocano bene variazioni sul tema e piccole sorprese improvvise. Nel mezzo il suono del sax, protagonista ma mai invadente, e comunque capace di fare squadra in mezzo agli altri elementi di un percorso organico ben riuscito.