Si chiama In Other Words We Are Three il primo lavoro dei Moon In June, band formata da Giorgio Marcelli (basso, voce), Massimiliano ‘Budo’ Tonolini (batteria) e Cristian Barbieri (chitarra): musicisti con una carriera già avviata che si incontrano, decidono di “rubare” il nome a una suite di Robert Wyatt e si tuffano in un rock con molte influenze e contaminazioni (qui la recensione). Li abbiamo intervistati.
Avete tutti esperienze in band alle spalle. Che cosa vi ha spinto a formare un vostro gruppo e su quali basi nascono i Moon in June?
Scrivere è una sorta di esigenza, forse non è una frase particolarmente originale ma le cose stanno così! Nelle formazioni precedenti abbiamo sempre dato tutti un apporto personale, chi in fase di scrittura, chi in fase di arrangiamento chi per entrambe gli aspetti… se non avessimo questo tipo di attitudine suoneremmo e avremmo suonato in situazioni che non presuppongono il coinvolgimento necessario per proporre musica inedita.
La nostra musica è frutto di ciò che abbiamo ascoltato e suonato in questi anni, il blues, la psichedelica il grunge… il pop! In realtà i nostri ascolti sono molto più ampi e ognuno di noi ha preferenze diverse, ma direi che queste stili e loro sfumature accomunano i nostri intenti su questo primo disco
Perché la scelta di una citazione di Robert Wyatt per il nome?
Moon in June è il titolo di un suite composta da Robert Wyatt per l’album Third dei Soft Machine… l’album e la suite stessa contengono frammenti musicali che fanno capo a un’epoca precedente al primo disco dei Soft Machine, quando nella band presenziava ancora David Allen, poi fondatore dei Gong. I nostri brani derivano da idee recenti ma anche da bozze e provini che risalgono a più di dieci anni fa!
La suite Moon In June è composta da idee musicali che hanno radici stilistiche molto distanti e la cosa affascinante e che queste distanze vengono completamente annullate dalla grande personalità di Wyatt e band. Il nostro intento è quello di unire stili diversi e di dar loro coesione, lasciando che questi si intravedano senza mostrarsi in toto.
Moon In June è un titolo che ho sempre amato, sia per come suona che per ciò che evoca, anche se non lo saprei desrcivere con precisione…in passato mi sono trovato spesso a dover pensare ad un nome per un gruppo e “Moon In June” era sempre in lista, ma ho preferito tenerlo per me fino alla formazione di questa band.
Come nasce “People at the Windows”?
Il testo di People at the windows è una sorta di riflessione sulle conoscenze da social network: le “windows” alle quali ci si riferisce sono le finestre della chat. Devo dire che però se rivivo un po’ il testo continuo a immaginare un uomo e una donna che vivono in due palazzi vicini e che si scrivono sfruttando la condensa sui vetri delle loro finestre ed entrano in profonda intimità senza mai incontrarsi, finchè lei incontra uno scrittore in un negozio di libri e preferisci la concretezza dei fatti alla poesia e anche alla sincerità delle parole.
E’ anche un modo, magari non troppo diretto per sostenere che la conversazione fine a se stessa non interessa realmente a nessuno e che in ogni caso è sempre più facile mettersi a nudo con degli emeriti sconosciuti, anche perché si ha un certo margine per mentire e mentirsi.
Perché la cover di “Angelene”?
PJ Harvey è un’artista che amiamo tantissimo e ci piace l’idea di ringraziare gli artisti che ci hanno fatto innamorare della musica interpretando un loro brano… uso il plurale perché dal vivo suoniamo anche un brano dei Morphine e uno di Mark Lanegan, ma in versione più fedele all’originale.
Nel caso di “Angelene” invece abbiamo cercato di dare un’interpretazione più personale al brano, trascinandolo verso le nostre corde pur mantenendo sostanzialmente intatta la forma. Il testo parla di una prostituta e pare alternarsi tra dialogo interiore e discorso: questo modo di raccontare e raccontarsi è un aspetto molto presente nei nostri testi!
Moon in June: fedeli ai live
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
Si tratta di stumenti molto semplici:
Basso : un jazz bass passivo prevalentemente suonato con il plettro e un ampli Ampeg serie classic; un pedale di distorsione MXR, un pedale di riverbero EBS e un Octaver Boss….
Chitarra : una Fender stratocaster, una Gibson Diavoletto e un ampli Marshall; distorsore Ibanez, fuzz Fulltone e l’intramontabile Line6!!
Batteria : Ludwig standard 1965.
Potete descrivere i vostri concerti? Quali saranno le prossime date che vi vedranno coinvolti?
I nostri live sono piuttosto fedeli al disco, anche se è il caso di dire che è il disco a essere piuttosto fedele ai live, perché è stato registrato in presa diretta e non c’è stata una post produzione importante da un punto di vista strutturale. C’è molto suono ma siamo piuttosto attenti alle dinamiche dei brani e della scaletta; ci lasciamo andare a qualche divagazione strumentale, senza esagerare e cercando di rimanere ben incollati al brano che stiamo suonando… ma soprattutto ci divertiamo tantissimo!!
Abbiamo ancora del margine di guadagno nel comunicare con il pubblico, non necessariamente con le parole: probabilmente verrà suonando… Trovare il giusto climax dal vivo è uno degli aspetti più difficili per una band e il fatto che tutti e tre abbiamo anni di esperienza alle spalle facilita un po’ il discorso ma non lo rende assolutamente scontato!
3 Dicembre Sound Soresina (CR)
8 Dicembre Red Dog Botticino (BS)
28 Dicembre Birrificio Ribalta MI
28 Gennaio Arci Ponterotto Empoli
10 Febbraio Vecchia Praga (BS)
5 Maggio Crocevia Cafè Rovato (BS)
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
I Verdena, sono incredibilmente bravi sia dal vivo che in studio… la loro musica a è viscerale e onirica allo stesso tempo, scanzonata e seria, spesso sospesa tra tutti gli umori possibili e immaginabili!! Credo siano protagonisti di una maturazione e di una mutazione musicale che non ha eguali nel nostro paese!
Bud Spencer Blues Explosion: sono in due e non manca mai niente… hanno un’incredibile capacità di fondere blues ancestrale e modernità (a tratti sembrano sfiorare la musica techno!!!) con un suono che pare quello di un’orchestra di 30 elementi!!!
Potete indicare tre brani, italiani o stranieri, che vi hanno influenzato particolarmente?
Cavolo questa è difficile, sarebbe già difficile indicare tre band…
The Rooster degli Alice in Chains
The Great Curve dei Talking Heads
Buena dei Morphine