Di Chiara Orsetti
Che il mondo abbia bisogno di essere salvato è fuori discussione. Che la musica sia in grado di riuscirci è sicuramente una bella sfida per Mosè Santamaria, cantautore genovese che ha appena presentato la sua seconda fatica discografica, intitolata Salveremo questo mondo, appunto.
Raccolti complimenti e consensi per il suo primo album #Risorseumane, rimboccate le maniche e affinato la tecnica, dimostra di esser pronto a far vedere quello che era ancora rimasto nascosto.
Nove tracce in tutto, che fin da subito fanno respirare aria nuova e rassicurante. Nonostante la complessità e la diversità degli argomenti affrontati da Mosè, il mix con le sonorità create in sala di registrazione rende Salveremo questo mondo uno specchio di acqua calma e confortevole.
Mosè Santamaria traccia per traccia
Con il vuoto negli occhi e una squadra nel cuore
E’ la title track Salveremo questo mondo ad aprire l’album e a spalancare porte e cuori. Quasi un inno, una bomba d’amore in grado di riportare l’attenzione su quanto sembra sfuggire di mano, ora più che mai, in questi tempi moderni. E fa ben sperare il ritornello che, a oltranza, ripete che salveremo questo mondo con una bomba d’amore. Sul finale la sovrapposizione di cori regala ulteriori spunti di riflessione per il brano che ha avuto il compito di essere il primo singolo estratto.
Salvami dal castigo estivo e postami sul profilo Jerry Calà che canta Maracaibo
Altrettanto accattivante è la sonorità di Era solo un BlaBlaCar, con un ritornello di facile ascolto e un titolo furbo e forse anche un po’ spiazzante. Un vuoto da colmare, un mondo da salvare. Una storia anche d’amore, con tutti i limiti che la tecnologia ha imposto a due cuori che si sentono, a due mani che si cercano.
Mi auguro sia un presa di coscienza vera e non una morte passeggera
Kerouac è stata definita da Mosè una canzone-cortometraggio e non esiste un’altra definizione che possa calzare a pennello con lo stesso stile. Una fuga dalla noia e dall’incomprensione verso un futuro possibile ma incerto. Un viaggio in macchina, con litigi e autogrill a fare da sfondo a quella che si spera essere un nuovo inizio e non un pallido, vano tentativo di non sentirsi morti prima del tempo. Potenzialmente un altro singolo a effetto, dedicabile con garanzia di successo.
Ci stiamo sopravvivendo
Brucia ragazzo brucia, di passione e di voglia, per vedere se la strada che ti ha portato fino a qui ha saputo accendere in te il desiderio di credere che non sia tutto qui. Sonorità allegre, in punta di chitarra e scaldate dalla voce dell’autore, per un altro brano finto disimpegnato in grado di regalare sfumature nuove anche dopo numerosi ascolti.
Piccola madre / prima di tutto siamo niente
Commovente racconto di un rapporto tra un figlio e chi l’ha messo al mondo, Piccola madre strappa lacrime e sorrisi. Le parole riescono a creare un livello di intimità difficile da ottenere, quasi una preghiera di comprensione, un cuore messo a nudo e sottoposto alle facili recriminazioni freduiane.
Perché il futuro no / non è un posto sicuro
Per parlare del prossimo brano è necessaria una premessa. Mosè spiega che per la religione induista il Kali Yuga è l’ultimo dei quattro yuga: si tratta di un’era oscura, caratterizzata da numerosi conflitti e da una diffusa ignoranza spirituale.
L’ultimo grido di dolore del Kali Yuga parte da questo principio, raccontando un futuro distopico a cui ancora non è chiaro se sia giusto voler partecipare. Corale e appassionato, il brano riesce a calibrare bene le energie
Mentre fuori da queste balere / si vedon solo meteore cadere
Fiore di loto è la canzone d’amore del disco. Salveremo questo mondo, ma intanto iniziamo a salvarci tra di noi. Una venerazione amorevole, un amore vulnerabile da quanto sa essere potente. Le differenze pesano nelle relazioni, ma sono anche il solo collante possibile: con l’intensità del ritornello e la leggerezza del pianoforte che accompagna, sembra anche un bel posto, l’amore.
Abbiamo un albero nella testa che ci programma l’esistenza
Circuiteria è allo stesso tempo immediato e complesso. Il concetto di essere programmati fin da piccoli in una logica di produci-consuma-crepa viene eviscerato con la particolare attenzione a quanto ci si possa sentire orfani del momento. Anche il mood che aumenta il graffio tiene bene testa a quanto la voce di Santamaria racconta: l’albero genealogico, la scuola, il catechismo contribuiscono a crearci, a renderci circuiti preformati.
Come poesie censurate di Bukowski ci riempiamo la vita di palliativi effervescenti come il Brioschi
Chiude l’album Pregare al sole. E se parlando di una traccia un po’ più in su ho detto che è la canzone d’amore del disco, ho probabilmente sbagliato. L’amore universale viene raccontato qui, non semplicemente il sentimento, ma la comunione che regala tra il corpo e l’universo. Un’esplosione in costante escalation, fino a mettere un punto a tutte le storie raccontate finora.
Una crescita evidente e un animo gentile: al tempo in cui chi alza la voce sembra essere il più fiero, Mosè Santamaria mostra quanto possa far bene ascoltare parole di conforto, sentir nascere speranze di miglioramento, e cercare consigli per trovare la strada.